(Rimini) Tovaglie apparecchiate stese in mezzo alla piazza, ma vuote. Con questa immagine, il sottofondo dell’inno nazionale e del silenzio e l’hastag #siamoaterra la FIPE-Confcommercio, Federazione Nazionale Pubblici Esercizi, ha manifestato in 24 piazze d’Italia con oltre 10mila persone collegate idealmente, accendendo ancora una volta un faro sulle gravi difficoltà in cui si trova il settore dei pubblici esercizi, dai ristoranti ai bar, fino ai pub, al catering e a tutto il momento dell’intrattenimento notturno, già provato dal duro lockdown primaverile e ora, nonostante gli investimenti in sicurezza per ottemperare ai protocolli, nuovamente penalizzata da orari incompatibili con la propria attività. Fipe della provincia di Rimini si è unita nella protesta ai colleghi di tutta Emilia Romagna che si sono dati appuntamento questa mattina in piazza Maggiore, portando a Bologna rappresentanti di categoria e gestori dei locali di tutta la provincia. Tra gli altri presenti a Bologna. Da Cattolica: Staccoli, da Riccione: Pascià e Chiringuito 151, da Verucchio: La Fratta e Casa Zanni, da Misano: Osteria Vecia, da Rimini: Barafonda, Lo Zodiaco, Frontemare, Darsena Sunset, Hasta Luego, Ingrata, Circus, Amerigo, Sbionta, Giusti, TerraeMaris, Red Devil e Mr Jones.
“Eravamo migliaia e abbiamo manifestato con il massimo rispetto delle norme. Una forma di protesta – sottolinea il presidente di Confcommercio della provincia di Rimini e del SILB-Fipe regionale – composta ed educata, ma ferma e decisa. Siamo a terra, come le tovaglie apparecchiate sul selciato, e i ristori promessi dovevano arrivare ben prima di queste nuove misure restrittive, come avevamo chiesto a gran voce anche direttamente al premier Conte qualche settimana fa. Ristori che ora possono essere solo il primo passo, a patto che davvero arrivino in fretta e non rimangano solo promesse come i rimborsi per le spese di sanificazione, sbandierati al 60% e poi di fatto ridotti a poco più del 9% a fronte degli ingenti costi sostenuti dalle imprese. Se siamo riusciti a trascorrere un’estate serena nei locali, senza picchi di contagio, è perché la stragrande maggioranza degli imprenditori è stata alle regole. Regole che ora sembra non valgano più, o che valgano solo fino a una cert’ora: non è tollerabile, né economicamente sostenibile. Chiediamo solo di poter lavorare con tutte le precauzioni del caso, di ospitare le persone in sicurezza, distanziate e serene.
Per quanto riguarda le discoteche, siamo seriamente preoccupati guardando al nuovo DL Ristori: si parla del 400% in più per i gestori dei locali che hanno avuto un sostegno ad aprile, peccato che siano solo una parte dei locali italiani, soprattutto di quelli stagionali che ad aprile non erano aperti. Serve assolutamente un tavolo condiviso in cui parlare della specificità di questo settore che, evidentemente, non è ancora chiara al legislatore. Le discoteche sono state sbattute in prima pagina come mostri, come capri espiatori, ma dati alla mano non era così. La rinnovata spinta del virus dopo 8 mesi di chiusura delle sale da ballo dimostra che non era colpa delle discoteche e a distanza di mesi mi piacerebbe sentire voci che si alzano a nostra difesa”.
“Innanzitutto vorrei ringraziare i tanti colleghi di tutta la provincia di Rimini che hanno voluto essere insieme a FIPE oggi a Bologna – dice il presidente di FIPE della provincia di Rimini, Gaetano Callà - per fare sentire la nostra voce univoca. Non siamo scesi in piazza perché vogliamo elemosine dallo Stato, ma vogliamo tornare a lavorare! Ci siamo attrezzati per questo, abbiamo investito in sicurezza e ora ci ritroviamo punto e a capo, con una crisi che morde e che rischia di far chiudere più di 50mila imprese lasciando a casa 300mila lavoratori. Le nostre imprese sono piccole, ma alle spalle di ognuna di esse ci sono dipendenti e famiglie. Senza poter lavorare siamo alle prese con costi vivi che vanno avanti ogni giorno e senza aiuti concreti e veloci rischiamo di non poterli saldare. Ciò significherebbe alzare bandiera bianca e non riaprire mai più. Né noi, né il Paese, ce lo possiamo permettere perché i pubblici esercizi e l’enogastronomia sono l’anima dell’Italia, del suo turismo. Per il nostro territorio sarebbe un disastro difficile da rimettere a posto”.