Per chi non vota e per chi invece voterà

Martedì, 12 Novembre 2024

Una considerazione per iniziare: l’astensione una volta faceva paura ai politici, ora, paradossalmente, fa il loro gioco.

Fino a quando infatti la politica ha conservato un valore di rappresentanza – espressione dunque di un qualche legame: valoriale, ideologico o territoriale che fosse – il “non voto” poteva avere il senso di una protesta e la forza di un grido che metteva in crisi la credibilità di un sistema. Con l’avvento invece di una personalizzazione esasperata della politica e l’affermarsi di un voto di opinione, che ha come unico criterio il proprio “sentimento”, l’astensione ha perso qualsiasi valore politico proprio. E se una volta l’insieme degli astenuti aveva quasi l’aura di un ‘popolo’, unito da una sensibilità acuta e quasi romantica del decadimento della politica, oggi è solo la somma di individui isolati. Chi non vota dovrà prima o poi ripensare a chi effettivamente faccia comodo la sua astensione. E a quali sorprese potremmo avere se anche solo una parte di essi tornasse al voto.

Soprattutto però, e questa è la seconda considerazione, il venir meno dei legami sociali lascia tutti gli elettori, votanti o meno, in balia del potere, quello dei consumi e quello delle opinioni. E anche la partecipazione elettorale, che sembra per antonomasia una affermazione di sé e delle proprie convinzioni, risulta in realtà molto più fragile e influenzabile; con la politica che assume esattamente le stesse dinamiche e le stesse “leve” di un qualsiasi prodotto commerciale. Non è un caso che i politici abbandonino sempre più spesso “i discorsi”, cioè i motivi e i valori del loro fare politica, e si presentino con elenchi di cose da fare mirati per ogni uditorio e località: appunto come una réclame con i suoi target da raggiungere.

Ma la politica non può risolvere da sola i problemi dei cittadini; una considerazione banale, ma se la si prendesse sul serio molti astenuti voterebbero e molti politici non sarebbero eletti. Per questo non può permettersi (la politica) di essere autoreferenziale, di vivere solo delle proprie analisi, dei propri progetti: in buona sostanza delle proprie prerogative di potere. E in un sistema, anche regionale, in cui i due schieramenti principali sono l’uno statalista, l’altro centralista, si capisce bene quanto il problema si reale.

Qui sta anche il senso di questo intervento, che è quello di invitare a cercare – per indirizzare il proprio voto – non tra le promesse elettorali (che infatti prefigurano un mondo perfetto, come se avessimo risorse illimitate per fare tutto e risolvere tutti i problemi allo stesso tempo), ma tra quelle dichiarazioni in cui i candidati presidenti anticipano l’uso che faranno del potere e il rapporto che avranno con i loro cittadini. Se autoreferenziali e concentrati su sé stessi o invece aperti al loro contributo, pronti a seguirli e non solo guidarli, pronti a riconoscere e valorizzare e sostenere ciò che nasce fuori dalla politica se è qualcosa che è per tutti (aiutando così la politica e anche la società civile).

Il benedetto “bene comune” non è solo il bene per tutti, ma anche il bene fatto da tutti, cui tutti contribuiscono. In fondo si tratta solo di questo, di quale relazione il prossimo ‘governatore’ e la sua squadra vorranno instaurare con i loro concittadini.

(rg)