PESCA, RAGGIUNTO IL ‘FISH DEPENDENCE DAY’: SULLE TAVOLE RIMINESI SOLO IL 10 PER CENTO DI PESCE FRESCO LOCALE
“Anche Rimini il pesce fresco inciderà per il 10 per cento e non oltre, anzi anche meno”, è il commento di Giancarlo Cevoli, presidente della cooperativa ‘Lavoratori del mare’ di Rimini, alla notizia riportata dal Corriere della sera. Secondo il quotidiano di via Solferino, “l'Italia sta consumando molto più pesce di quello che riesce a produrre, rendendo il Paese dipendente dalle importazioni”. A rivelarlo è il rapporto della New economics foundation (Nef) e di Ocean2012.
Secondo le due organizzazioni, infatti, 21 aprile, è il ‘fish dependence day’ italiano, “cioè il giorno in cui l'Italia inizia a essere dipendente dal pesce pescato in altre acque. Aver raggiunto il ‘fish dependence day’ non significa che da domani gli italiani potranno acquistare solo pesce importato, ma che hanno già mangiato tutto il quantitativo di pesce che la nazione riuscirà a produrre quest'anno”.
Rimini non è da meno e, spiega Cevoli, “non può essere differentemente: pensi a tutti gli alberghi, tutto congelato, d’importazione da tutte le parti del mondo. Nessuno è autosufficiente”.
Il rapporto, infatti, mette a confronto la situazione nel ‘bel Paese’ con quella del resto d’Europa. “L'Italia è autosufficiente per il 30% del pesce che consuma, a fronte del 51% della media dei 27 Paesi Ue. In questo la Penisola è in compagnia di altri Stati con un ampio affaccio sul mare, come il Portogallo (autosufficiente per il 24%), la Spagna (39%) e la Francia (38%). Così, se per l'Unione europea il ‘fish dependence day’ sarà il 6 luglio, per la Francia arriverà il 21 maggio e per la Spagna il 25 maggio, mentre per il Portogallo è stato il 30 marzo”.
Questi dati, però, non devono indurre in errore: il pescato effettivo è in genere, tanto, anzi troppo, rispetto alle esigenze locali. Quella della marineria di Rimini è una realtà, “magari poco conosciuta in città, ma importante a livello nazionale”, che esporta in Italia e all’estero.
“Si tratta – precisa Cevoli - della produzione massiva. Il pesce azzurro e le vongole li mandiamo (ancora freschi) al 70 per cento in Spagna, le triglie spesso vanno a finire in Grecia, soprattutto in alcuni periodi. E’ normale per via della deperibilità del prodotto e del fatto che diversi tipi di pescato sono destinati a lavorazioni diverse. Noi per esempio non abbiamo la trasformazione, la Spagna sì. Non conviene, i costi sono troppo alti e allora chi la fa ha preferito spostarsi in Croazia o in Romania”.
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