Nella Evangelii Gaudium papa Francesco scrive che «diventare un popolo richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia».
Come nasce e si sviluppa questo processo che porta alla costruzione di un popolo? Chiara Giaccardi, docente dell’Università Cattolica di Milano, ha provato a rispondere alla domanda nel corso della serata organizzata dal centro culturale Il Portico del Vasaio, a conclusione del ciclo sulle parole che dividono. E lunedì sera la parola di cui ricomprendere il significato era appunto la parola popolo. Già nel ’68 Paolo Vi aveva lanciato un grido allarmato «Dov’è il “Popolo di Dio”, del quale tanto si è parlato, e tuttora si parla, dov’è?». E oggi ci si potrebbe chiedere dov’è il popolo socialista, dov’è il popolo laico? I soggetti e le identità popolari che hanno costruito il tessuto sociale del nostro Paese sembrano essersi liquefatti in una società dove esiste solo la somma di tante solitudini.
Giaccardi nella ricerca del nuovo punto di inizio di una forma dello stare insieme che non sia la somma di tanti io, è partita dal dominio della ideologia individualista, giudicata come una grande trappola, meglio ancora come un’astrazione. La pretesa di un uomo che si concepisce del tutto autonomo, indipendente, che si costruisce da solo, cozza contro la realtà: siamo un insieme di relazioni e solo attraverso le relazioni avviene il processo di individuazione di cui parlava Jung, cioè l’emergere della persona. Oltretutto le relazioni che più influiscono sulla nostra vita sono quelle che non scegliamo, i genitori, i figli, il contesto sociale e culturale.
Se il modello individualistico di società che ben conosciamo è un modello astratto, cioè che astrae dalla concretezza della vita e dei rapporti, non se ne esce contrapponendovi un altro modello astratto, come potrebbe essere il comunitarismo o quello che oggi va più di moda, il populismo, visto come il tentativo di una risposta sbagliata, perché fondata sulla paura, ad un bisogno di relazioni protettive.
Non c’è un modello astratto – ecco il passaggio fondamentale – ma solo la concretezza della nostra esistenza. Le relazioni non possono essere fabbricate, non sono un oggetto che si possa comprare sul mercato. L’individuo fabbrica, mentre la persona genera. Generatività è una parola chiave nel pensiero e nell’esperienza personale di Chiara Giaccardi, madre di cinque figli ed impegnata in un’associazione che pratica l’accoglienza di migranti e stranieri. Insieme al marito Mauro Magatti vi ha dedicato un libro, Generativi di tutto il mondo unitevi.
Generare significa prolungare se stessi, incontrare l’altro, consentire la nascita di un’alterità. Generare vuol dire essere aperti all’imprevisto, ad-ventura, cioè al futuro, mentre l’individuo vive nell’eterno presente. La libertà sta nel mettere al mondo, non nello scegliere ciò che già c’è.
Giaccardi ha fatto riferimento anche al pensiero della tensione polare di Romano Guardini, al quale ha pienamente attinto anche Bergoglio. Ogni nostra azione, per esempio, è un impasto di attività e passività, non c’è solo l’una o l’altra. Trasferendo questo pensiero polare ai rapporti tra le persone, si scopre che l’altro è dentro di noi, non è esterno a noi.
Una lunga premessa per affermare che l’idea di popolo può rinascere come frutto del riconoscimento delle relazioni costitutive della nostra vita. Si tratta di curare e far fiorire le relazioni che già ci sono. Il popolo nasce da un’esperienza di ospitalità (l’ombelico è lì a dimostrare che noi stessi nasciamo in quanto ospitati da un altro) e di esodo, di uscita da noi stessi per incontrare l’altro. È l’incontro fra diversi che genera. Si tratta di cominciare partendo da un sì all’imprevisto che si affaccia sulla nostra vita. Non da soli, insieme ad altri, così si vive l’esperienza di una realtà aumentata, non dalla tecnica ma dalle relazioni.