(Rimini) Per i piccoli commercianti il Black Friday (che spesso dura una intera settimana), non è “un propulsore per le vendite”, ma “una subdola spada di Damocle”. È così che Giammaria Zanzini, rappresentante riminese, vicepresidente regionale e consigliere nazionale di Federmoda – Confcommercio descrive il venerdì nero degli acquisti, pratica statunitense approdata ormai in pianta stabile anche in Italia.
“Sarebbe meglio che dagli Stati Uniti importassimo fiscalità equa e burocrazia light, anziché questa iniziativa che va a vantaggio esclusivo delle catene monomarca e dei colossi del web – spiega -. A loro serve per mantenere gli alti volumi di vendite di prodotti a bassissimo prezzo e di altrettanto scarsa qualità e possono permetterselo giocando sulle quantità, mentre i piccoli commercianti sono sollecitati ad operare ribassi che di fatto azzerano i propri margini e li mettono ancora più in crisi. Per coprire i costi, dai dipendenti all’affitto, dalle imposte alle bollette, un negozio indipendente deve vendere a prezzo pieno almeno il 65% della sua merce. In quanti finora sono riusciti a farlo, tra crisi dei consumi e meteo che cambia le stagioni? Con le svendite legate al Black Friday e i saldi che arrivano prestissimo (a Rimini al via il 4 gennaio 2020, ndr) sarà impossibile per molti. Insomma, per i piccoli esercenti questo appuntamento è un gioco al massacro perché li mette in stretta concorrenza con le multinazionali e i colossi dell’e-commerce. Il recentissimo studio di Mediobanca fa sapere che le 25 principali aziende digitali, da Google ad Amazon solo per citarne alcune, nel 2018 hanno versato in Italia appena 64 milioni di tasse. Circa la metà dell’utile ante imposte di questi gruppi è tassato in Paesi a fiscalità agevolata, con conseguente risparmio fiscale cumulato di oltre 49 miliardi nel 2014-2018. Il tax rate effettivo delle multinazionali WebSoft è pari al 14,1%, ben al di sotto di quello nominale del 22,5% (Fonte: AGI). Il risultato di tutto è che dal 2012 al 30 settembre scorso abbiamo perso in Italia 89.631 imprese di cui 54.749 nel settore tessile, abbigliamento, accessori, intimo, calzature e pelletteria (Fonte InfoCamere Movimprese). Senza dimenticare che non è raro incappare sul web in acquisti di merce contraffatta, non originale o addirittura fuorilegge e potenzialmente dannosa per la salute.
Ma anche se si volesse lasciare da parte il punto di vista economico – prosegue Zanzini - il Black Friday rimarrebbe una iniziativa tutt’altro che lodevole. A cominciare dai costi per l’ambiente. L’industria della moda ha prodotto in un anno un sovrannumero di articoli del valore di 4,3 miliardi di dollari e molto spesso l’invenduto viene bruciato provocando emissioni di CO2 quanto carbone e gas naturale insieme. Le navi container, se fossero uno Stato, sarebbero il terzo più inquinante al mondo, per non parlare del moltiplicarsi delle consegne a domicilio e del proliferare di camion e camioncini. Ma il vero prezzo della moda a basso costo è quello umano. Dietro ogni maglietta che paghiamo poco, c’è qualcuno che sta pagando il resto con la propria vita, complici le delocalizzazioni delle produzioni nei Paesi in via di sviluppo dove il costo della manodopera è bassissimo, pari a 2 o 3 euro al giorno e migliaia di operai, per lo più donne e bambini, lavorano privi di qualsiasi tutela e in pessime condizioni igieniche e di sicurezza. Credo sia arrivato il momento di chiederci: è questo il mondo che vogliamo? Se la risposta è no, è urgente che i consumatori abbandonino il richiamo delle sirene del fast fashion per un modello di acquisto più sostenibile per tutti. La Francia si sta già muovendo per limitare questo fenomeno dilagato anche in Europa: i deputati della commissione per lo Sviluppo sostenibile dell’Assemblea nazionale francese hanno approvato un emendamento per introdurre il divieto delle campagne promozionali legate al Black Friday inserendole tra le pratiche commerciali aggressive passibili di pene fino a due anni di carcere e multe oltre i 300mila euro poiché lasciano supporre forti sconti quando invece, secondo uno studio realizzato da UFC-Que choisir, la riduzione media dei prezzi è inferiore al 2%”.