(Rimini) "Partiamo dal presupposto che come primo aspetto il commercio è una risorsa. Proviamo infatti a immaginare una città o un lungomare spenti e senza attività aperte, una componente non da poco sia per quanto riguarda il turismo, ma anche il presidio del territorio. Una vetrina spenta significa una parte di territorio non controllato, mentre un commerciante ha naturalmente a cuore il proprio quartiere e la sua immagine. Confesercenti calcola che già siano 32mila i negozi in meno rispetto al 2011, e nel 2019 sono sparite altre 5mila attività commerciali, al ritmo di 14 al giorno”. A parlare è Fabrizio Vagnini, presidente della Confesercenti provinciale. “In provincia di Rimini (dati Camera di commercio) le imprese del commercio al dettaglio al 31 ottobre 2019 erano 4.961, con un calo del 2.2 % rispetto all'anno precedente. La tradizionale rete di vendita aiuta a dare identità a un luogo e rende maggiormente attrattive le aree urbane, per le quali il commercio è un settore economicamente significativo, che contribuisce a produrre reddito locale e occupazione”.
Dal 2008 in poi “le risorse e la capacità di spesa a disposizione degli italiani sono diminuite di molto. Il report Confesercenti evidenzia che le famiglie italiane oggi sono costrette a spendere annualmente 2.530 euro in meno del 2011. È quindi scattata una ricerca del basso costo, una corsa al ribasso, a fronte per i commercianti di costi però sempre più alti. Per fare sopravvivere le attività vanno considerati tanti aspetti. Sono necessari urgentemente interventi, principalmente sulla tassazione, che deve essere semplificata e ridotta da subito, per tamponare la moria di attività commerciali. Quando queste saranno sparite sarà molto più difficile ricreare un tessuto imprenditoriale, soprattutto nell'entroterra, dove ormai ma ci sono località nei quali non c'è neanche più un bar. I centri storici poi sono sempre più "blindati": siamo pienamente d'accordo con la pedonalizzazione, ma di pari passo ci vogliono anche i parcheggi, o le attività soffrono anche la non raggiungibilità. È poi necessaria una moratoria sui centri commerciali, affinché non se ne costruiscano di nuovi”.
Altro aspetto “fondamentale è la concorrenza sleale delle vendite on line. Nessuno la vuole impedire, ma sicuramente va fatta con una regolamentazione. Non ci può essere da una parte il negozio fisico soggetto a una pesante tassazione, con l'obbligo da gennaio del registratore di cassa collegato direttamente all'Agenzia delle entrate, e dall'altra parte il vuoto legislativo e una tassazione minima. Questo è grave, è una lotta impari. Chi compra, a parità di prodotto ovviamente sceglie il costo minore, ma dietro al prodotto che costa meno c'è una concorrenza sleale sulla quale è necessario intervenire immediatamente. I colossi del web nel 2018 in Italia, a fronte di 24miliardi di ricavi, hanno pagato solo 64 milioni di tasse. Legato alle vendite on line c'è poi un aumento a dismisura degli imballaggi per la spedizione, con un conseguente incremento di rifiuti”.
Si sta andando poi verso le transazioni con moneta elettronica. “Dal governo si era paventa l'ipotesi di abbassare i costi bancari o di recuperarli, invece è rimasto tutto come prima, penalizzando i commercianti con costi alti. È stata tolta infine la cedolare secca per gli affitti, che non è stata rifinanziata, con la quale il proprietario dell'immobile pagava il 20 per cento di tassazione. Se si poteva sperare di imboccare la strada per l'abbassamento degli affitti, ora è perciò ancora più complicato”.