Un collegio dei revisori ha colpito ancora. Questa volta nel mirino è la Provincia e la sua delibera di rinegoziazione dei mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti. È una possibilità offerta dal decreto Cura Italia: poiché è prevedibile che gli enti locali, a causa dell’emergenza Coronavirus, abbiano minori entrate e maggiori spese, possono rinegoziare i mutui, cioè diluire il pagamento nel tempo.
Con Cassa Depositi e Prestiti la Provincia ha un debito complessivo residuo di poco più di 37 milioni. I mutui rinegoziati sono 25 e ammontano a circa 25 milioni di euro, con una rata annuale di 850 mila euro. In media questi debiti avevano una durata media di 18 anni. Per effetto della rinegoziazione, che comporta un minore importo della rata annuale, andranno la maggior parte a scadenza il 31 dicembre 2043, e alcuni anche al 2045. E qui si appuntano le osservazioni del collegio dei revisori composto da Giuliano Fontana, Antonella Teodorani e Andrea Capelloni.
Essi ricordano che in base alla legge la durata di un mutuo rinegoziato non può essere di più di trent’anni dalla data di perfezionamento, che l’indebitamento deve esser effettuato con un piano di ammortamento “non superiore alla vita utile dell’investimento che si va a finanziare”. Lo scopo di queste norme, precisano, è di non generare nei bilanci futuri oneri finanziari slegati dai benefici diretti o indiretti di cui a quel tempo può godere la collettività. Insomma, non si possono caricare di eccessivi debiti le generazioni future. Non a caso i revisori citano anche la sentenza della Corte costituzionale che ha sancito il principio dell’equità intergenerazionale.
Fatte queste premesse il collegio dei revisori sottolinea che con la rinegoziazione gli interessi crescono di 2,308 milioni e che tali interessi corrispondono ad un tasso fisso del 3,37 per cento, considerato maggiore rispetto agli attuali valori di mercato. La conclusione è il parere sfavorevole “in quanto non si rileva l’economicità per tutto il periodo 2020-2045 oltre alle nuove quote di interessi notevolmente superiori in valore assoluto rispetto alla situazione ante rinegoziazione”.
Nonostante il parere sfavorevole del collegio dei revisori, la maggioranza in consiglio provinciale ha comunque approvato la delibera. Non è però passata la immediata eseguibilità in quanto, osserva Marzio Pecci, capogruppo della Lega, Mirco Muratori di Patto Civico si è allontanato prima del voto ed era assente il consigliere Luca Pasini. “Pertanto – osserva Pecci - la delibera per la rinegoziazione dei mutui dovrà attendere il decorso del termine dei dieci giorni anche se il Presidente ha dichiarato di assumersi tutte le responsabilità conseguenti al parere non favorevole dei Revisori. La ‘sfida’, frutto dell'onnipotenza del Presidente, non riduce i termini che la legge impone in questi casi e non lo esonera dalle responsabilità”.
Il fatto curioso è che nel giro di pochi giorni sia l’amministrazione comunale che quella provinciale hanno dovuto fare i conti con una “rivolta” del collegio dei revisori. Anche in Provincia deve esserci difficoltà di rapporto fra controllori e controllati, visto che i revisori lamentano, nel loro parere, di non essere stati consultati nella rinegoziazione dei mutui che l’ente ha siglato con Carige e con Credit Agricole.
Una delibera di rinegoziazione dei mutui è stata approvata a maggioranza anche dal consiglio comunale di Rimini.
A conclusione del dibattito, l’assessore al bilancio Gian Luca Brasini ha fatto il punto sulle difficoltà di far quadrare il bilancio del 2020 e dei prossimi anni. Nel decreto rilancio non sono state previste misure perequative per quei Comuni, come Rimini, che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi economica derivante dal coronavirus. Rimini è fra quelle località per cui si prevede un calo delle entrate del 20/30 per cento, a differenza di altri capoluoghi, anche in Emilia Romagna, che lamentano perdite del 6 per cento. Ancora non c’è un accordo con il governo per rispondere a queste esigenze. Le scadenze dei tributi sono state rinviate al 31 luglio e non è immaginabile un ulteriore rinvio, perché verrebbe meno la liquidità per far funzionare l’ente, pagare stipendi e fatture. Non è immaginabile far ricorso a mutui per finanziare le spese correnti perché è vietato dalla Costituzione. Brasini sarebbe invece propenso ad agire sulle percentuali di accantonamento dei fondi crediti di dubbia esigibilità. Rimini ha un avanzo positivo di 103 milioni, 74 dei quali sono appunto accantonati in questo fondo. Secondo Brasini bisognerebbe attingere dal fondo, ma c’è da superare un vincolo europeo. È insomma una materia che il governo deve trattare con l’Europa. Peraltro, sulla gestione del fondo crediti di dubbia esigibilità si sono appuntate alcune delle osservazioni del collegio dei revisori che, come già riportato, ha bocciato il rendiconto 2019.