(Rimini) “La chiusura forzata degli scorsi mesi ha messo a dura prova il nostro sistema economico, soprattutto nel settore dei pubblici esercizi che è tra i più colpiti". Il presidente Fipe Gaetano Callà parla di un "vero e proprio shock economico ed occupazionale a seguito dell’emergenza epidemiologica. Il solo settore della ristorazione ha sin qui subito perdite stimate per oltre 28 miliardi di euro, con 50.000 imprese esposte a fallimento e 300.000 persone che rischiano di perdere il proprio lavoro. A questi numeri vanno aggiunti quelli collegati alla chiusura di circa 2.500 imprese del settore dell’intrattenimento e dell’intero mondo del catering per eventi che vede ancora ferme migliaia di aziende. Il fatturato medio di un’impresa di ristorazione è attualmente al 50% rispetto al pre-Covid".
In tutto "questo disastro, sospinti dalla moda e dalla ricerca di alternative, stanno riprendendo vigore le cene in aperta campagna. Quelle dove ci si siede e si mangia ovunque, in barba alle normali norme igieniche richieste, anzi imposte, ai ristoranti. Fipe-Confcommercio, ribadisco a scanso di equivoci, non è contro l’identità dei territori e i prodotti locali, né contro innovazione e collaborazioni di filiera, ma ancora una volta siamo a chiedere regole certe ed univoche, anche sul rispetto delle norme anti-Covid per le quali i nostri locali sono sottoposti ad adempimenti ferrei. Abbiamo bisogno che venga messo subito un freno all’enogastronomia abusiva, che fa leva sull’asimmetria di regole mettendo in atto una concorrenza sleale capace di spingere ancora più a fondo il comparto ristorazione. Senza dimenticare l’intrattenimento, con serate danzanti nascoste tra gli alberi sicuramente più difficili da individuare di quelle sulla spiaggia, ma puntualmente organizzate anche nella nostra provincia, spesso in mancanza delle licenze da ballo necessarie. La domanda è cambiata, i modelli di consumo si sono evoluti e abbiamo bisogno di una ristorazione forte per il rilancio del settore e di tutto il turismo, non di improvvisazione e dequalificazione professionale".
Tutto questo "in attesa delle prime sagre, a cui è già stato dato il via libera. In un momento drammatico di crisi di consumi e di grande difficoltà dei pubblici esercizi regolari possiamo accettare che si riapra un mercato in deroga a regole e normative? Una ristorazione parallela, con tanto di aziende che si spostano da un capo all’altro dell’Italia con tendoni, forni e stoviglie. Ci fossero solo quelle autentiche, tradizionali e legate al territorio ne saremmo felici: il problema è che ormai di sagre ce ne sono di ogni tipo, ovunque, da quelle del pesce in montagna a quelle con prodotti esotici. Se si vuole fare ripartire davvero l’Italia e il turismo, perché colpire ulteriormente un comparto già in ginocchio e che paga le tasse per favorire attività dove il lavoro non ha regole e l’igiene è stata spesso un dettaglio trascurabile?”.