(Rimini) “Le nostre attività, seppur non oggetto di attenzione diretta dei Dpcm ad esclusione di quelle ubicate in zona rossa o arancione, non possono stare aperte senza prospettive”. Lo ribadisce Giammaria Zanzini, referente di Federmoda-Confcommercio della provincia di Rimini e consigliere nazionale. “Vanno aiutate perché se non supereranno questo momento, il problema non sarà solo il nostro. Anche per i negozi nelle zone gialle servono contributi a fondo perduto, liquidità dalle banche, sospensione degli affitti o una rimodulazione del canone spronando i proprietari ad un abbassamento riducendo le imposte sugli immobili, condono tombale sui versamenti tributari e contributivi e la sospensione delle fatture delle utenze di luce, acqua e gas. Per il settore è indispensabile detassare o rottamare le rimanenze di magazzino, così come sono urgenti e improrogabili sono la sospensione dei mutui e dei leasing bancari e la prosecuzione della CIGD fino a tutto il 2021. Altrimenti non ci sarà più un futuro per queste attività, che presidiano le nostre strade, vie e piazze. La moda non può essere affossata”, attacca Zanzini.
“Queste richieste trovano fondamento in una crisi profonda del settore. I negozi di moda hanno una grande particolarità rispetto a gran parte del resto del mercato: vivono di collezioni stagionali, che vengono ordinate otto mesi prima dell’arrivo dei prodotti in store e hanno investito ingenti capitali in merce che, a questo punto e con ogni probabilità, resterà ferma - come nella primavera - negli scaffali. In questo 2020 tutti gli imprenditori del retail in forte asfissia di liquidità: hanno poco e quasi esclusivamente in sconto con margini bassissimi e hanno contratto debiti. Con il primo lockdown la merce che non abbiamo potuto vendere è rimasta in magazzino, poi si è aggiunta una ripresa stentata e condizionata dalla paura e dal disagio economico delle famiglie che si ritrovano un reddito disponibile basso. In più, il massiccio uso dello smart working, la mancanza di fiere, congressi, feste e cerimonie, a cui si sono aggiunte le chiusure serali di ristoranti e i locali e quelle di piscine e palestre che hanno inciso anche su abbigliamento sportivo, hanno formato un combinato disposto micidiale”.
Le nuove stime riferite al comparto moda e tessile per il 2020 “è impietoso: si prefigura la chiusura di 20mila punti vendita (dai 17mila previsti con le stime di marzo), con 50mila addetti in meno e una perdita di 20 miliardi di euro di business. Il Decreto Rilancio prevede risorse per 45 milioni destinate al sistema moda e alla filiera, ma la somma è totalmente insufficiente, deve essere moltiplicata almeno dieci volte per essere efficace. Null’altro è previsto nel DL Ristori. La visione miope di questi provvedimenti si riscontra ogni giorno: l’ultima arriva dal DL Ristori bis che contiene i sostegni per le attività chiuse in zona rossa o arancione, dai quali sono stati esclusi i negozi di calzature per adulti “colpevoli” di avere lo stesso codice Ateco di quelli per bambini che possono rimanere aperti. Fare riferimento ai meri codici Ateco, anziché guardare alla grave crisi del comparto nel suo complesso, è un errore clamoroso a cui si deve subito porre rimedio. È difficile digerire questi provvedimenti quando i commercianti hanno investito importanti risorse per andare avanti rispettando protocolli e linee guida. Abbiamo investito anche in formazione e digitalizzazione, ma purtroppo l’impennata dell’e-commerce è stata diretta esclusivamente sui grandi brand multinazionali. Vero è che sono aumentate le richieste di licenze per la vendita online anche dei negozi di prossimità, ma un conto è avere la possibilità, un altro è riuscire a strutturarsi su larga scala e a concorrere con colossi che hanno dalla loro anche il pagamento delle imposte in stati esteri a condizioni molto più favorevoli di quelle italiane. Dobbiamo continuare a sensibilizzare le istituzioni, comprese quelle europee che devono assolutamente immettere denaro e revocare le misure straordinarie per la contabilizzazione dei prestiti bancari, ma anche chi fa acquisti, perché capisca l’importanza dei negozi di prossimità per l’intero tessuto sociale. Per questo ripeteremo la protesta simbolica dello spegnimento delle luci tutti i sabati: è l’unico segnale che possiamo dare e andremo avanti finché non ci saranno sostegni concreti”.