Caro Direttore,
è di questi giorni il dibattito nazionale sulla fatica del mestiere di sindaco. Recenti episodi riportati dalla cronaca hanno fatto riemergere un argomento che ha l'andamento di un fiume carsico: su e giù, a seconda delle notizie, soprattutto giudiziarie e in particolare di assoluzioni dopo anni e anni di calvario personale e professionale dovuti a spettacolarizzazione mediatica e politica. Dico subito che non mi scandalizzo, così come non faccio retorica: per fare il sindaco non basta 'amare la propria città', il nobile sentimento deve essere accompagnato da quella che Gadda chiama 'cognizione del dolore' fino al masochismo. In qualche bar potrebbero tradurre con 'te non sei normale'.
E sì perché oggi il sindaco è un sacco delle botte ormai ridotto a brandelli visto che in tanti, negli ultimi 10 anni, hanno infierito su esso. Lo hanno fatto le forze populiste, distruggendo per i loro interessi il primo portone a cui bussano i cittadini. Lo ha fatto la politica centrale tutta che, dall'inizio del nuovo millennio, non ha esitato un secondo a legiferare e interpretare per scaricare ogni responsabilità da sé ai livelli istituzionali territoriali, sperando di allontanare responsabilità e allo stesso tempo riverginizzarsi agli occhi dell'opinione pubblica. Il risultato che le leggi approvate sono oggettivamente colpevolizzanti ogni primo cittadino che, dice bene il sindaco di Parma Pizzarotti, deve sempre avere l'ultima parola ma mai l'ultimo potere. I casi giudiziari, anche quelli clamorosi, sono solo la punta dell'iceberg di una fatica quotidiana molto più grande. Ogni passo è pesante il doppio rispetto alla normalità: devi rispondere di tutto, dai TSO ai fiumi che rischiano di esondare, a vicende di espropri vecchi di 30 anni, a simultanei rischi di abuso d'ufficio o omissioni d'atti d'ufficio o altro se firmi le tonnellate di atti riguardanti tutto e preparate dagli uffici. In buona sostanza rischi di essere accusato se stai fermo e rischi di pagare di persona se fai, su qualsiasi tema, un asilo, una strada, una infrastruttura. Io, come sindaco, ho avuto cause per milioni di euro, specie nel periodo dello stop al cemento. Se le avessi perse, avrei pagato personalmente, non so come e non so quando. Mio padre se ne è andato, avendo negli occhi e nelle orecchie un'accusa infamante avanzata verso il sindaco, suo figlio: associazione a delinquere, poi caduta. E' vero che mi ha aiutato a reggere la solidarietà dei riminesi 'sappiamo chi sei'. Ma è altrettanto vero che le polemiche, le accuse, il leggere sugli organi d'informazione di essere 'alla sbarra', ti scava dentro e ti fa chiedere, quando esci di casa la mattina, con quali occhi ti guarderanno le persone per strada.
Oggi che la politica pare accorgersi dei sindaci, al di là di qualche solidarietà di circostanza non pensa affatto che la soluzione più semplice sarebbe quella di non lasciare soli i sindaci. Le regole, le leggi, le istituzioni devono stare sopra ogni cosa e prima di tutto. I suoi rappresentanti sono sempre, in qualche modo, coinvolti: è un prezzo che devi mettere in conto. Ma è un conto che non può distruggere le persone e il ruolo istituzionale stesso. I sindaci non hanno voce in Parlamento e questo spesso provoca strabismo tra leggi promulgate e la loro concreta praticabilità. I parlamentari non vengono quasi mai scelti tra chi ha esperienza diretta di governo locale: sono partiti e correnti a completare l'album di figurine di Camera e Senato. Ci sono stati casi di sindaci ai vertici di istituzioni. Ma sono sporadici, casuali. Non esiste una riforma istituzionale organica che preveda il coinvolgimento strutturale dei sindaci nel dibattito e nelle decisioni nazionali: a chi guida le città solo responsabilità e colpe. Rivedere ruolo e riorganizzazione sarebbe semplice, ma tutto sommato scomodo per populisti e menefreghisti, quindi meglio lasciare tutto così come è. Meglio una dichiarazione di solidarietà dopo un'assoluzione venuta ad anni di distanza dalle accuse che rovinarono vite che assumersi una responsabilità istituzionale e etica. Ovviamente sino al prossimo caso.