(Rimini) I Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Rimini stanno eseguendo un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Rimini, di attività finanziarie, beni immobili e beni mobili registrati per oltre 7,3 milioni di euro, somma corrispondente al profitto del reato commesso da tredici soggetti dediti alla promozione e realizzazione, sull’intero territorio nazionale, di una struttura di vendita, asseritamente fondata sul network marketing, ma, in concreto, fondata sul mero reclutamento di nuovi soggetti e, pertanto, vietata dalla legge in quanto conforme al sistema illegale delle «vendite piramidali».
L’attività, che si trova nella fase delle indagini preliminari, è stata diretta e coordinata dalla locale Procura della Repubblica e "ha permesso di individuare nel territorio riminese l’apice della rete di vendita di una società, avente formalmente sede a Milano e operante nel settore delle vendite “porta a porta”, la quale commercializzava i prodotti del proprio gruppo multinazionale (integratori alimentari) sull’intero territorio nazionale. Sono state così denunciate 13 persone quali figure apicali della struttura di vendita piramidale e proposto, nei loro confronti, il sequestro preventivo ai fini della confisca, del profitto illecito quantificato in oltre 7,3 milioni di euro. Degli indagati, tutti incensurati, due sono cittadini sammarinesi, uno romano, uno foggiano e gli altri romagnoli (Rimini, Pesaro, Cesena).
Il giudice per le indagini preliminari riminese, in accoglimento della proposta avallata dalla Procura della Repubblica, ha disposto il sequestro ora in esecuzione mediante l’aggressione patrimoniale di immobili e disponibilità finanziarie".
La società "commercializzava nel territorio italiano i prodotti della capogruppo statunitense, acquistandoli, come predeterminato nella pianificazione fiscale per l’area Eemea (Europa, Medio Oriente e Africa), dalla sua diretta controllante olandese. Le vendite ai consumatori finali nazionali, in considerazione del precedente acquisto intracomunitario, generavano in capo ad essa un ingente debito IVA, mai versato nelle casse dell’Erario. Tale condotta, ripetuta negli anni, in considerazione del superamento del limite oggettivo previsto dalla legge, ha integrato almeno allo stato delle indagini, un quadro di gravità indiziaria del delitto di omesso versamento di iva nei confronti del rappresentante legale".
Aa partire dal 2015, "nella provincia di Rimini si era instaurato il primo nucleo di incaricati alle vendite (promoter) dell’impresa in argomento. È in questo territorio, infatti, che i leader fondatori della rete di vendita hanno cominciato l’attività di affiliazione e reclutamento che li ha portati a gestire, nel complesso, una struttura piramidale composta da oltre 10mila persone. Tra queste migliaia figuravano sia persone in cerca di prima occupazione, e che hanno investito, depauperandoli, i propri risparmi per inseguire il sogno di scalare la gerarchia della struttura di vendite, sia persone che, illuse dal progetto, hanno addirittura abbandonato la precedente attività lavorativa; sono loro le reali parti offese del sodalizio criminale, spesso anche inconsapevolmente".
Il reclutamento "avveniva sui social network, attraverso piattaforme digitali, ma principalmente nel corso di eventi in presenza e in grande stile presso strutture molto appariscenti e famose come palasport e aree meeting di grandi alberghi, ubicati nei principali capoluoghi e della capitale. Nel corso di tali incontri i vertici descrivevano il proprio successo e quello degli “ambassador”, soggetti che da zero e in poco tempo erano riusciti a scalare la struttura arrivandone all’apice, delineando e descrivendo le metodologie di ricerca di nuovi “adepti” e i risultati economici cui, di conseguenza, era possibile giungere".
Centrale per le indagini "è stata la decodificazione del “piano incentivi”, che delineava tutte le varie tipologie di provvigioni riconosciute. L’approfondita analisi della documentazione acquisita nonché delle informazioni assunte, di concerto con lo studio della giurisprudenza di riferimento, ha permesso di disvelare le connotazioni, allo stato valutate illecite, sottese al complesso e opaco piano di incentivi con il quale venivano calcolate le provvigioni, che si sono dimostrate principalmente interconnesse all’attività di affiliazione di nuovi adepti, rispetto a quanto riconosciuto per la vendita di prodotti, che risultavano essere secondari o ininfluenti".
La "pericolosità sociale" della condotta è emersa anche con "riguardo alla gestione che i promoter sponsorizzatori («enroller»), in qualità di uplink leader, avevano dei soggetti arruolati nella propria “down line”; in conseguenza di ciò i primi determinavano le fortune dei propri iniziati decidendone le sorti nella scalata nel ranking aziendale e, conseguentemente, determinandone quelle finanziarie. La società non aveva strutture operative in Italia, il suo core business - ossia le vendite di prodotti - veniva realizzato esclusivamente dagli incaricati alle vendite che erano, nel contempo, essi stessi clienti".