FUNERALI DI DAYANA E WILLIAMS. LAMBIASI: “UNA CATASTROFE DEVASTANTE CHE SI POTEVA E DOVEVA EVITARE”
La domanda è una. Perché? Perché tutto questo alla piccola Dayana di 5 anni, a suo padre, alle altre vittime del naufragio del 13 gennaio a largo di Grosseto? Anche la risposta è una. “Non siamo soli”, è la sintesi di un’omelia toccante, ricca di citazioni, quella del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi, oggi pomeriggio in Duomo per l’ultimo saluto a Daya e Willy, tra familiari, amici, i bimbi dell’asilo anche il sindaco Andrea Gnassi, il presidente della Provincia Stefano Vitali, il presidente del Tribunale Rossella Talia e il capo della protezione civile Franco Gabrielli. Fuori dalla basilica piena lo striscione dei tifosi del Cesena: “Dayana e Williams due stelle abbracciate nel cielo”, così come nell’immagine del ricordino distribuito in chiesa.
Di fronte alle bare di Dayana e del suo babbo, dice il vescovo, “le possibili parole di umano conforto, risultando a noi stessi puramente palliative… Così ci ritroviamo smarriti e confusi, come dei mendicanti, che si scoprono senza neanche un minimo spicciolo di forza per riprendere il cammino”.
C’è, si domanda Lambiasi, “un povero più povero di una bambina innocente e indifesa, che in quella immane sciagura può contare solo sulla stretta protettiva ma fatalmente impotente del suo papà? Permettetemi allora di farmi coraggio e di annunciarvi senza giravolte diplomatiche la verità di quest’ora: nella sua morte Gesù e ogni vittima rimangono saldati in un solo mistero, abbracciati in un solo destino”.
Il vescovo, nella sua omelia, si rivolge anche a chi la tragedia l’ha provoca e probabilmente avrebbe potuto evitarla. “No, non possiamo mettere in conto a Dio il tragico disastro che è costato la vita a Dayana, al suo papà e a tante altre vittime, una catastrofe devastante che si poteva e si doveva del tutto evitare, e di cui altri hanno il dovere, davanti al tribunale divino e alla giustizia umana, di assumersi la gravissima responsabilità. Non è stato certamente Dio a distrarsi quel tredici gennaio sera né a rendersi latitante al largo dell’Isola del Giglio”.
E poi ancora. “Dio è sempre là dove c’è un suo figlio che soffre e muore. Sempre. Come recita un antico testo giudaico: «Se un empio perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Se un giusto perseguita un giusto, Dio è dalla parte del perseguitato. Se un empio perseguita un empio, Dio è dalla parte del perseguitato»”.
In conclusione. “Il mistero di Gesù che muore per amore incrocia il mistero di ogni umana tragedia, come questa. Il Crocifisso-Risorto, prende su di sé il velo del silenzio gravido di interrogativi che ci pesano sul cuore, lo squarcia da cima a fondo, facendo risuonare la rassicurante, inimmaginabile promessa: «Oggi con me sarai nel paradiso»”.
|