LO SCHEMA PONZI (O DEL LUTTO DEI BAGNINI). A PROPOSITO DI LIBERALIZZAZIONI
Charles Ponzi era un immigrato negli Stati Uniti di origine italiana (di Lugo, per la precisione) che agli inizi del ‘900 divenne famoso per aver realizzato una truffa di enormi dimensioni.
La truffa, secondo uno schema che ha preso il nome dal nostro, è stata più volte attuata negli anni. Fra gli altri da Vincenzo Cultrera, a.d. dell’Istituto Fiduciario Lombardo, poi fallito e coinvolto in una bancarotta fraudolenta, che negli anni ’80 comprò il Grand Hotel di Rimini per poi rivenderlo sotto forma di certificati immobiliari. Essa prevede che, attraverso la promessa di extra-rendimenti, un numero sempre crescente di persone sia indotto a partecipare, versando somme cospicue, ad un investimento alternativo, i cui proventi, nella realtà, non esistono. I denari di coloro che man mano sono coinvolti nella truffa, infatti, servono a liquidare coloro che vogliono monetizzare l’investimento e, soprattutto, ad arricchire il truffatore di turno. In sostanza, l’investimento, se così può essere definito, frutta solo se si trova qualcuno che subentra al posto di chi vuole uscire.
Era necessario parlare di Charles Ponzi prima di parlare del mercato delle concessioni di spiaggia, ovvero le concessioni demaniali che consentono ad un bagnino di gestire uno stabilimento balneare. Com’è noto, nella proposta di riforma presentata dal Governo Monti, la durata delle concessioni è stata ridotta e portata ad 8 anni (4+4), novità che ha fatto insorgere i bagnini medesimi e le loro associazioni e cooperative; la motivazione consisterebbe nell’insufficiente tempo a disposizione per ammortizzare gli investimenti, recuperando il capitale. Per capirci di più, abbiamo raccolto alcune informazioni e provato a fare due conti.
Prendiamo un bagno di grandezza media che si trovi a Rimini in zona semi-centrale, con otto file di ombrelloni, e che sia passato di mano a due nuovi gestori, fra il 2006 e il 2007, per la cifra di 700mila €. Da tale investimento deriverà un reddito annuo al lordo di imposte, per i due soci acquirenti, pari a 90.000 €. E poiché risulterebbe fuorviante ragionare in termini di cifre nette, la riflessione che segue sarà fatta nell’ipotesi di assenza di imposte, quindi al lordo. Alla domanda: “Quanto rende uno stabilimento balneare?” risponderemo con alcune semplici valutazioni di convenienza, sulla base di un ragionamento economico noto e basilare, che afferma che il reddito d’impresa dovrebbe essere superiore a quello ottenibile da un’attività priva di rischio (risk-free), normalmente rappresentata da un BTP a 5 anni (pari al 3,77% nel 2007). Se si ipotizza che il premio al rischio richiesto nel settore alberghiero sia pari a circa l’8,3%, si può concludere che, affinché ne valga la pena, l’investimento nello stabilimento balneare dovrebbe rendere almeno il 12% annuo lordo: altrimenti, sarebbe meglio stare a casa ed aspettare che maturino gli interessi, senza rischiare. Nell’effettuare il paragone, è importante ricordare che, se alla scadenza un BTP sarà rimborsato al valore nominale o in alternativa, venduto sul mercato e liquidato, lo stesso non può dirsi dello stabilimento balneare, per il quale occorre trovare un acquirente disposto a pagare perlomeno quanto versato a suo tempo dal venditore.
Ora, la liberalizzazione pone un termine all’investimento, fissando in 8 anni l’orizzonte dell’investimento stesso, scaduti i quali si deve ipotizzare di non poter più ottenere redditi di sorta, tantomeno quelli legati alla cessione. Snodo cruciale della riforma, pertanto, è l’abrogazione, de facto, della possibilità per l’investitore di rientrare attraverso la rivendita della concessione, perché dopo 8 anni sarebbe comunque messa all’asta; tutti quelli che hanno comprato prima della riforma non avrebbero più nulla da rivendere. Inoltre si dovrebbe tenere presente che il reddito lordo annuo di 90mila € non dovrebbe essere considerato reddito d’impresa, se non per la parte non imputabile al lavoro dei soci. Quindi, nell’ipotesi presumibile che tale lavoro valga almeno 20mila € l’anno per ognuno di essi, di conseguenza il reale reddito d’impresa sarà pari a 50mila € ((90.000-(20.000x2)=50.000). Le conclusioni alle quali si giunge usando un semplice foglio elettronico su Excel, applicando le funzioni Tir (tasso interno di rendimento) e Van (Valore attuale netto) sono molto istruttive.
Date le ipotesi di cui sopra, alla fine degli 8 anni, i nostri bagnini: 1. rientrerebbero a malapena dell’investimento solo se riuscissero a vendere l’azienda allo stesso prezzo al quale l’hanno pagata (700mila €), con un rendimento sul periodo pari al 12,857%, leggermente superiore a quanto richiesto dal settore, facendo finta di lavorare gratis; 2. se, al contrario, lo stabilimento non fosse più cedibile al termine degli 8 anni, il rendimento dell’investimento sul periodo sarebbe pari allo 0,63% annuo, ampiamente inferiore persino all’inflazione; se poi si considerasse che una parte di quei 90mila € è reddito da lavoro, perché non si lavora gratis, l’investimento non sarebbe più conveniente, non consentendo mai il recupero del capitale investito, se non in un arco di tempo molto più lungo; 3. in sostanza, converrebbe fare il bagnino solo pagando un prezzo di ingresso, in sede di asta per la concessione demaniale, molto più basso, non superiore, nell’esempio, a 250.000 €; 4. infine, volendo rispettare il tasso di rendimento obiettivo del settore senza fare finta di lavorare gratis, se continuasse lo schema Ponzi del bagnino, e quindi senza liberalizzazioni, il prezzo al quale dovrebbe avvenire la cessione al termine degli 8 anni dovrebbe essere incrementato rispetto all’originale di almeno il 70%; nel nostro caso il bagno dovrebbe passare di mano per 1,2 mln.di €, ovvero si dovrebbe trovare qualcuno disposto a pagare tale cifra.
E’ conveniente, allora, investire in uno stabilimento balneare? Lo è solamente a due condizioni concomitanti e connesse: a) che sia possibile rivendere ad un prezzo almeno pari a quello di acquisto (e la riforma abolisce questa possibilità); b) che i redditi ottenuti ed il capitale investito siano assoggettati ad imposte il meno possibile, ovvero massimizzando l’evasione fiscale.
Se questo è vero, date le ipotesi che si sono illustrate, allo schema Ponzi del bagnino si deve aggiungere un elemento non quantificabile ma molto importante nel valutare perché i prezzi siano così elevati e nell’immaginario collettivo siano anche giustificati: nel prezzo pagato, in effetti, vi sono motivazioni extra-economiche riassumibili nel concetto “fare-il-bagnino-è-il-lavoro-dei-sogni”. Il prezzo pagato misura quanto saremmo disposti a pagare per il-lavoro-dei-sogni. E le liberalizzazioni delle concessioni, impedendo l’eventualità che si possa rientrare del prezzo pagato alla scadenza, interrompono lo schema, soprattutto per chi vi è già coinvolto, facendo scoppiare la bolla dei prezzi: perché nessuno sarà più disposto ad investire ingenti capitali, sia pure per svolgere il-lavoro-dei-sogni, con contratto a tempo determinato non rinnovabile (gli 8 anni fissati dal Governo), sapendo che non sarà più in grado di recuperare i denari esposti al rischio d’impresa.
Alessandro Berti
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