(Rimini) “Nella carne ferita e bisognosa di ciascuno di questi volti incontrati io riconosco la mia ferita, il mio bisogno di uomo, la mia esigenza di mendicare un abbraccio che mi permetta di guardare a me stesso con una briciola di simpatia, nel quale la mia umanità, non più definita dal proprio male, possa comunicarne il medesimo calore”. Il parroco di Marina Centro, don Roberto Battaglia, interviene dalle pagine del Carlino sull’aggressione della scorsa settimana ai danni di un giovane rifugiato, Emmanuel Nnamani, da parte di un altrettanto giovane, in cura psichiatrica, parrocchiano di San Girolamo, la chiesa di Marina Centro. La riflessione del parroco, diventa occasione per riflettere più in generale del clima in città, anche in relazione allre recenti polemiche scatenate dal piano del comune di Rimini per la chiusura del campo nomadi di via Islanda. La riflessione patte come immedesimazione in domande che sono di tutti.
“Le ferite nel corpo di Emmanuel rivelano la ferita altrettanto profonda della nostra umanità, che scopriamo accogliendo una sfida che interpella tutta la città. Cosa sta succedendo a Rimini? Qual è la natura del disagio espresso dai comitati che protestano contro la decisione del Comune di smantellare il campo nomadi di via Islanda? Qual è la natura della diffusa ostilità in cui si inserisce il gesto, seppur legato a un disturbo psichico, compiuto nei confronti di Emmanuel? Occorre guardare fino in fondo alla rabbia che traspare nei volti di tanti che si sentono soli e impauriti di fronte a una presenza percepita come ostile e pericolosa”.
Il parroco invita, seguendo in questo il papa e il vescovo, a superare “i muri” e piuttosto a “costruire ponti”. “Tutti i muri che stanno sorgendo nel mondo, come mai ci saremmo immaginati, rivelano che siamo immersi in questa paura in cui l’altro è percepito come nemico. Proprio per questo, i muri che si erigono pensando di risolvere il problema in realtà lo alimentano, incrementando la paura stessa e rendendo sempre più difficile la convivenza ad ogni livello”.
Perché, in fondo, dall’altra parte del muro ci sono “uomini e donne che cercano la felicità come ciascuno di noi e che sono preoccupati per il destino dei loro figli, come coloro che sono riuniti nei comitati che stanno protestando e come le famiglie dei sinti, riminesi da generazioni. Uomini feriti, come Emmanuel e come il suo aggressore”.
In città, fa notare don Battaglia dalle pagine del Carlino, ci sono già luoghi dove i muri sono abbattuti. “Penso all’opera della Caritas e dell’APG23 per gli ultimi, ai gesti con cui alcuni miei amici di Cl accompagnano tanti nella ricerca del lavoro, visitano le famiglie portando loro la spesa o insegnano l’italiano ai profughi, ai volontari della Caritas del centro storico che aiutano anche famiglie di immigrati, cristiani e musulmani, ai parrocchiani che hanno donato coperte e abiti, durante l’inverno, ai senzatetto ospiti della Capanna di Betlemme”.
In edicola | Don Battaglia: Noi, uomini feriti, possiamo "costruire i ponti"
Venerdì, 31 Marzo 2017
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