(Rimini) “Dal 21 marzo al 27 aprile: oltre quaranta giorni di chiusura totale, di confini regionali e provinciali presidiati con blocchi e controlli stradali. Sacrifici stringenti, per difendere la salute pubblica e aggredire un nemico agguerrito e invisibile, che ha fatto di Rimini una delle province più colpite dal contagio di Covid in termini sanitari. I primi a stringere e a reagire. Tutti come comunità. Per salvarla e ripartire il prima possibile con imprese e lavoro. Questa scelta, assunta con responsabilità da tutti i comuni riminesi e dal Presidente della Regione Stefano Bonaccini, ha di fatto risparmiato vittime e dolore, consentito a medici, infermieri e sanità di reggere. Ad oggi, però, non si è preso in considerazione nella sua gravità lo choc economico che il nostro territorio ha subito, sta subendo e subirà nei prossimi mesi, in termini di finanza pubblica, difficoltà d’imprese, posti di lavoro e aumento della domanda sociale”. A ripercorrere le tappe del lockdown è il sindaco di Rimini Andrea Gnassi.
“Il turismo non esporta merci ma importa persone. E’ colpito al cuore dalla pandemia che colpisce appunto le persone. Le aziende legate al turismo, ai servizi, i lavoratori di questo settore subiscono i maggiori danni economici. Senza lavoro e imprese anche le entrate dei comuni che servono per dare servizi saltano. In questi mesi di lockdown siamo stati sempre netti e chiari nel comunicare l’andamento epidemiologico, le condizioni del nostro sistema sanitario, rischi a cui si stava andando incontro. E lo siamo altrettanto oggi: stando così le cose, è concreta la possibilità che la situazione economica finisca fuori controllo. I danni finanziari dei due mesi di lockdown sul bilancio del Comune di Rimini sono secondo i criteri e i dati relativi all’Istituto Finanze Enti Locali in una cifra tra i 40 e i 45 milioni di euro di minori entrate, cifra che rappresenta circa il 25/30 per cento dell’intero bilancio comunale annuo di spesa corrente (190 milioni di euro). Tali cifre saranno solo in minima parte compensate dalle risorse inserite del Dl Rilancio, che prevede fondi insufficienti ai comuni in particolare ai comuni ad alta vocazione turistica e con questo tessuto economico sociale. I 3 miliardi di euro stanziati a favore di tutti i Comuni non sono sufficienti, così come non compensa gli squilibri il miliardo di euro aggiuntivo per alcune specifiche misure (trasporto locale, ad esempio)”.
Queste risorse “non consentiranno la quadratura di bilancio. Comuni come quelli del riminese che sono stati in prima linea durante tutta l’emergenza, senza protagonismi, lavorando a testa bassa per tutelare le proprie comunità e cercando allo stesso tempo di essere una bussola nel mare magnum di decreti, ordinanze, annunci. Il risultato? I bilanci degli enti locali sono appesi ad un filo. La pandemia ha inciso in maniera orizzontale su tutte le economie locali e dunque sul complesso sistema delle entrate dei comuni. Tra questi ultimi, è evidente che ad essere più penalizzati sono quei comuni che amministrano realtà locali ad alta intensità di attività del terziario e, in particolare, del turismo.
Continuiamo ad auspicare l’attenzione che merita il nostro territorio da parte del Governo. Proprio in queste ore, grazie ad Anci e ai Sindaci, è stata avanzata una proposta di modifica all’articolo 112 del decreto Rilancio. Alla formulazione originaria, e cioè l’istituzione di un fondo comune di 200 milioni di euro per le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Piacenza, sono stati adesso aggiunti i Comuni che hanno adottato provvedimenti particolarmente restrittivi durante il lockdown per almeno 30 giorni consecutivi”. Una proposta, per Gnassi, “sacrosanta ma che ora attende l’ufficializzazione per essere fatto, e non semplice parola scritta”.
“Vedremo, ma molti Comuni capoluogo stanno comunque preparandosi a uno scenario difficilissimo per i prossimi mesi. Sono stati i comuni italiani che hanno dato un contributo determinante nel salvare l’Italia negli ultimi terribili 100 giorni. Non abbiamo applicato solo decreti, ma contribuito a farli così come le ordinanze regionali. Come Rimini, la nostra storia ci dice che qui abbiamo sempre fatto da soli, sono davvero pochi gli aiuti esterni ricevuti in decenni di vicende altalenante. Rimini è ripartita e non ho dubbi che supererà anche questa crisi come già fatto in passato. Anche da soli. Alzeremo la voce, faremo valere le nostre ragioni ma non staremo fermi in un riflesso fatalistico. Ma lo Stato deve consentire ai Comuni, ancor più a quelli virtuosi come il nostro e a quelli maggiormente penalizzati dalle conseguenze della pandemia, di avere almeno gli strumenti normativi per rispondere alle esigenze di bilancio. C’è in ballo la capacità di continuare a garantire i servizi essenziali ai cittadini, c’è in ballo la tenuta sociale dei territori, sono a rischio gli investimenti strategici per il rilancio”.
Due sono le azioni principali: “liberare risorse ora vincolate e sburocratizzare, mettendo in campo strumenti di natura straordinaria che consentano di far fronte appunto ad una situazione straordinaria. Tra le misure che noi sindaci stiamo proponendo in questa situazione emergenziale ve ne sono alcuni di facile realizzabilità, a partire dall’allentamento dei vicoli di accantonamento ai fondi di garanzia, a partire dal Fondo crediti di dubbia esigibilità. In pratica chiediamo una cosa semplice: di poter usare almeno una parte dei nostri “risparmi”, liberando una quota di risorse accantonate (almeno 4 milioni di euro, volendo fare una stima prudenziale) che potrebbero essere subito nella disponibilità degli enti locali. Tra le altre proposte, la possibilità ai Comuni di indebitarsi per la spesa corrente, una deroga alla “regola aurea” scritta nella Costituzione che prevede il ricorso all’indebitamento solo per finanziare la parte investimenti nell’ottica del raggiungimento del pareggio di bilancio. Un’operazione rischiosa, ma che merita almeno di essere presa in considerazione. Milano, Firenze e altri comuni pur di tenere in piedi scuole e asili, servizi alla disabilità, ci stanno lavorando”. I comuni italiani “hanno assunto negli ultimi decenni il ruolo di “avamposto” dello Stato: è giunto il momento per lo Stato di ricambiare. Se non con i soldi, almeno sburocratizzando e dando ai comuni, lasciati non certo in buone acque, almeno la possibilità di salvarsi da soli”