Non è certo una novità sapere che l’emergenza Coivd ha allargato la fascia delle persone che vivono in condizioni di disagio economico. Ma ciò che impressiona del tradizionale rapporto annuale della Caritas sulla povertà (questa volta dedicato esclusivamente a ciò che è successo dal gennaio all’agosto 2020) è la notizia che il 20 per cento delle 1.170 persone che si sono rivolte ai servizi non tornava alla Caritas da più di cinque anni. Ciò significa che per molte persone che faticosamente, grazie anche all’aiuto del volontariato, avevano raggiunto equilibrio e autonomia, il Covid è intervenuto a farle di nuovo arretrare in una situazione di estremo bisogno. Compogono questo 20 per cento alcune categorie di persone: le donne, le persone tra i 45 e i 64 anni, un maggior numero di stranieri (in particolar modo rumeni, ucraine, senegalesi e russi).
Accanto a chi dopo anni si è trovato costretto a ricorrere ai servizi della Caritas, ci sono quanti (3 su 10) che per la prima volta hanno bussato alle porte dell’ente. Tra le “persone nuove” sono state riscontrate alcune tendenze.
È stato rilevato un aumento di uomini (addirittura l’85% nel periodo giugno-agosto), un incremento di giovani tra i 25-34 anni (pari al 26,2% tra giugno e agosto) ed anche una presenza maggiore di persone nella fascia di età 45-54 anni (pari al 25,5% tra giugno e agosto).
Ad ampliare la fascia delle persone nuove contribuiscono parecchio gli italiani: tra gennaio e febbraio erano il 29,6%, tra marzo e maggio addirittura il 39,6% e tra giugno e agosto il 34,5%.
Rispetto agli stranieri si è riscontrato un aumento di peruviani (soprattutto tra gennaio e maggio dove hanno raggiunto il 13% di tutte le persone incontrate per la prima volta); un aumento di ucraine nel periodo tra marzo e maggio, pari al 9,4% (per la maggior parte badanti che avevano perso il posto di lavoro e faticavano a trovarne uno nuovo, alcune da poco rientrate in Italia dopo aver trascorso il lockdown in patria); un aumento di marocchini e tunisini nel periodo estivo, pari rispettivamente al 22,3% e al 5% delle persone “nuove” (tra i quali diversi giovani sprovvisti di documenti).
Il lockdown da Covid ha spinto a rivolgersi agli sportelli della Caritas categorie di persone che negli anni precedenti erano o del tutto assenti o assai rare. La crisi nel settore turistico (stagione più ridotta o del tutto annullata) ha lasciato a terra persone che contavano sul lavoro stagionale per avere una fonte di reddito. Nel corso della presentazione del Rapporto si è fatto l’esempio di Marco, un giovane parmense di 20 anni che da due anni viveva a Rimini perché aveva trovato lavoro in un hotel. Il suo albergo non ha riaperto e lui si è visto costretto a rivolgersi alla Caritas. Inoltre non era mai capitato di incontrare agli sportelli Caritas figure professionali appartenenti al mondo della notte e del divertimento. È stato fatto l’esempio di Carlos, un latino-americano che organizzava feste di ogni tipo e che le norme sul distanziamento sociale hanno lasciato senza lavoro. Impressionante anche il caso del Dj che si è rivolto alla Caritas per fare ascoltare la sua musica e per non restare da solo, lui abituato a vivere sempre in mezzo a tanta gente.
Cosa offre la Caritas a tutti costoro? La mensa, così come funzionava in precedenza (seduti a tavola) non è più aperta, ma vengono consegnati pasti caldi da asporto. Da gennaio ad agosto ne sono stati distribuiti 4.054 contro i 2.932 serviti a tavola nello stesso periodo dell’anno precedente. Un altro servizio della Caritas è il cosiddetto “giro nonni”, ovvero la consegna di pasti a domicilio ad anziani che non possono muoversi da casa. A gennaio in media venivano servite 43 persone, mentre a partire da marzo il numero è iniziato a crescere, fino a toccare il picco di 105 persone il 18 maggio. Ha superato le 140 tra il 25 luglio e il 4 agosto, in quanto, su richiesta del Comune, sono stati serviti i pasti a dei senegalesi senza dimora che vivevano in un albergo abbandonato ed erano in quarantena perché alcuni di loro erano risultati positivi al virus.
Dalla tarda primavera, in condizioni di igiene e sicurezza, la Caritas è riuscita a garantire anche il servizio docce e la distribuzione di vestiti puliti. Questi sono i servizi centrali, ma non va trascurato il contributo offerto dalla diffusa rete delle Caritas parrocchiali.
Ciò che non si è potuto più fare è il dormitorio per i senza fissa dimora perché lo stare insieme in stanze con più persone può incrementare la diffusione del virus. Il fenomeno delle persone costrette a vivere in strada è più ampio di quel che si possa pensare: gli operatori della Caritas ne hanno incontrate 630 nei primi otto mesi dell’anno, anche se non tutte residenti a Rimini, ma solo di passaggio. L’assessore Gloria Lisi, intervenuta alla presentazione del Rapporto, ha parlato della presenza in città di 120 senza fissa dimora ai quali il Comune intende dare risposta con l’apertura di un hotel a essi dedicato, contando sulla collaborazione del volontariato.