(Rimini)
"Chiudo perché non voglio chiudere". Il cartello campeggia da ieri sera (1° marzo) su saracinesche e vetrine spente di più di cento negozi di moda, abbigliamento delle vie dello shopping di Cattolica e Riccione. Sono sessanta commercianti della regina dell'Adriatico e più di quaranta della Perla Verde. A loro si stanno aggiungendo, oggi, anche molti negozianti riminesi. T
"Chiudo perché non voglio chiudere" non è solo ossimoro o mera figura retorica. È rappresentazione della realtà del commercio, dalla boutique elegante al semplice esercizio di prossimità, ai tempi della crisi pandemica. Nasce dal paradossale combinato disposto degli ultimi decreti sicurezza e la colorazione dei territori.
Infatti in zona rossa tutti gli esercizi hanno l'obbligo di chiusura e accedono per diritto i sostegni economici stanziati dal Governo, i vecchi ristori. Mentre, in zona arancione i negozi possono stare aperti e quindi non hanno accesso a nessun tipo di sostegno. Territori dove i cittadini di una zona, come nell'arancione della provincia di Rimini, possono uscire solo per lavoro, motivi di salute, acquisti di generi alimentari, sanitari o emergenze. Di fatto nessuno esce per comprare un paio di scarpe, una borsa o un vestito. Basta fare due passi in qualsiasi strada dello shopping, per trovarla desolatamente vuota. Nasce da qui la protesta simbolica dei commercianti con negozi chiusi anche domani e riapertura al pubblico giovedì (4 marzo).
In questa situazione per un negozio d'abbigliamento alzare la saracinesca, significa esclusivamente aumentare i costi di gestione, impegnare inutilmente tempo e personale. Rimanere chiusi è l'unico modo per ridurre i danni economici alla proria attività e sperare di riuscire a ripartire con il ritorno in zona quantomeno gialla. "A un anno dall'arrivo di Covid-19 e varianti siamo arrivati alla più incredibile delle situazioni. Stai pure aperto anche se non lavorerai, ma in questo modo il Governo si libera dal dovere sostenere attività, che giova ricordare stanno chiuse per esigenze del bene collettivo salute. Il costo di questa tutela deve quindi essere condiviso, diritto costituzionali e leggi alla mano, dall'intera collettività", spiga il presidente Federmoda provinciale Rimini, Giammaria Zanzini.
"Per di più questa zona rossa, sotto mimetizzazione, arriva dopo i 69 giorni di lockdown totale della scorsa primavera e in un momento delicato dell'attività dei negozi d'abbigliamento. Abbiamo terminato i saldi, persi in parte con le precedenti prescrizioni sanitarie e nei negozi ci sono le nuove collezioni primavera ed estate, che rimangono a prendere polvere – continua Giammaria Zanzini – la scelta serrande abbassate di oggi nasce spontaneamente dai nostri associati e Federmoda fa propria un'iniziativa che comunica in modo diretto l'agonia che vive il nostro settore e l'assurdità delle norme per i negozi di moda contenute nel decreto su zone arancioni. In una parola: inaccettabili".
Tutto questo in una cornice dove il comparto moda, in 12 mesi, ha contato 20 miliardi di euro in meno di vendite, 21 mila negozi chiusi e qualcosa come 50 mila addetti lasciati a casa. "In questi giorni la settimana della moda ha comunicato il made in Italy in tutto il mondo. Tra poco agenti e rappresentanti ci chiederanno gli ordini per l'autunno inverno e noi non saremo nelle condizioni di non farli per nulla o ridottissimi. Se noi non compriamo l'industria del tessile, dell'abbigliamento della pelletteria, non ha nessuno a cui vendere. Zone rosse o arancioni che siano".
E da Federmoda provinciale Rimini arrivano proposte concrete rivolte a amministrazioni locali, regionali e Governo, per affrontare la situazione. Primo intervento shock fiscale per i commercianti. Devono limitarsi solo al pagamento di utenze e fornitori. Con questi ultimi trovare un accordo per la divisione dei rischi, poiché all'atto degli ordini i negozianti firmano solitamente clausole stringenti che scaricano i costi dell'invenduto solo sui dettaglianti. A questo si devono aggiungere innovative forme di detassazione o rottamazione dei magazzini per superare una volta per tutto il problema delle rimanenze, che nel caso della moda si riferiscono a prodotti di carattere stagionale, con immediata svalutazione del loro valore commerciale.