(Rimini) In due anni il pronto soccorso di Rimini ha visto ridurre il personale di 19 unità su un totale di 45. Il numero lo ha reso noto la direttrice Tiziana Perin nel corso del consiglio comunale di martedì sera. Durante il dibattito, grazie anche a dirigenti della sanità locale e regionale, si sono analizzate tutte le criticità rilevate soprattutto la scorsa estate con file lunghissime al pronto soccorso, ma anche liste d’attesa interminabili per esami e visite specialistiche. Molteplici le cause. Dal fatto che la sanità emiliano romagnola è ritenuta migliore di altre ed è quindi utilizzata anche da pazienti che arrivano da fuori regione per curarsi (allungando le liste d’attesa), al fatto che Rimini in quanto capitale turistica in estate ospita milioni di persone in più, passando, infine, per quella che ormai è una realtà a tutti gli effetti: dopo la pandemia è aumentato il numero delle defezioni tra le file dei sanitari (non solo a causa delle sospensioni per i no vax che a suo tempo hanno scelto di non vaccinarsi). Ma non è tutto qui. Ci sarebbe infatti da tenere in considerazione quello che potrebbe essere quasi un peccato originale della sanità emiliano romagnola, l’ottica poco sussidiaria con cui il sistema è stato ideato e strutturato.
A che punto è la sanità romagnola? “C’è necessità di un cambio di passo”, spiega il consigliere comunale Luca De Sio. Ma verso dove? “Le case di cura viaggiano con incrementi di fatturato importanti anche perché l’Azienda si trova nel paradosso di essere costretta ad utilizzare il privato proprio per l’incapacità di far fronte alle tante richieste. Ma utilizza il privato senza avere intimamente sposato l’idea di questa interazione pubblico-privatistica. Quindi senza aver messo in atto tutti i procedimenti, i controlli e le verifiche necessarie affinché il sistema funzioni. Eppure, è costretta ad utilizzarlo”.
Qual è il tallone di Achille della sanità romagnola? “Il sistema emiliano romagnolo, a differenza di quello lombardo, non ha investito in maniera importante nel rapporto pubblico privato. In Lombardia tu fai il ticket, scegli il tuo ospedale convenzionato e la qualità è garantita da questo. Qui è la Regione a scegliere il privato con cui collaborare e soprattutto la prestazione da affidare al privato, quindi solo quelle che il pubblico non riesce a coprire. E può succedere che il privato sapendo che i soldi gli arriveranno lo stesso non garantisca qualità anche per prestazioni banali. E’ qui che processi e controlli verrebbero in aiuto per evitare che il privato se ne possa approfittare. Questo non accade perché manca all’origine un vero matrimonio pubblico privato".
Come cambiare? “Il tema è cruciale, non solo perché costituisce il 77% del bilancio regionale, ma perché quella della sanità è la modalità con cui, forse più di ogni altra, si estrinseca la cura alla persona che deve sempre essere al centro di ogni azione umana e dunque politico-amministrativa (e non ha e non deve avere colore politico). Occorre chiedersi se davvero sia ancora sostenibile il sistema sanitario emiliano romagnolo così come è stato concepito. E cioè su un modello spiccatamente pubblico. Me lo domando perché siamo arrivati a dover usare il privato senza però modularne processi ed effetti. La sussidiarietà non è più un’opportunità che alcuni possono più o meno capire, ma una necessità di cui oggi non possiamo veramente fare più a meno. Correggiamo quello che deve essere corretto prima che sia troppo tardi”.