La storia delle destinazioni turistiche conosce bene il declino di località un tempo affermate e la loro sostituzione con nuove mete. È un rischio che corre anche la nostra riviera perché, mentre i mercati della vacanza cambiano e diventano più esigenti, noi continuiamo a proporre un prodotto ripetitivo e datato.
Abbiamo disperatamente bisogno di una intensa stagione di profonda ristrutturazione del patrimonio ricettivo, di una dotazione rinnovata di nuovi standard per servizi moderni sul territorio, di modificare e rigenerare una matrice urbana obsoleta che risale agli anni ’60. La mano pubblica, per perseguire questi obiettivi, ha realizzato recentemente investimenti anche molto ingenti, ma senza un nuovo quadro normativo che stimoli l’investimento privato, rivitalizzi la voglia di fare impresa, attragga nuovi capitali e nuova imprenditorialità, lo sforzo sostenuto rischia di essere vano. Perché riparta un ciclo positivo occorre restituire al mercato degli immobili turistici quella fluidità che è stata congelata negli ultimi anni dalle posizioni di rendita immobiliare.
Può essere fatto rispettando gli indirizzi delle norme urbanistiche regionali senza cioè aumentare l’impermealizzazione complessiva del territorio e senza incrementarne la capacità edificatoria, al netto delle premialità legate all’efficientamento energetico e alla sicurezza antisismica. Nella zona turistica, infatti, abbiamo già un patrimonio edilizio esistente che potrebbe ampiamente soddisfare, in una chiave di rigenerazione urbana, le esigenze di una nuova stagione di qualificazione della nostra offerta. Il problema è la sua allocazione, frutto della crescita tumultuosa e disordinata dei decenni passati, che pur scontando la crisi e la chiusura di tante imprese, costituisce il blocco alle profonde trasformazioni di cui abbiamo bisogno. Occorrono nuovi strumenti capaci di stimolare ed incentivare il mercato immobiliare ad agire secondo obiettivi di sistema.
Immagino una società pubblico/privato che diventi una sorta di banca della capacità edificatoria, alla quale possano essere ceduti o conferiti immobili turistici senza ormai alcuna ragionevole prospettiva di successo economico, che sarebbe utile abbattere per fare “respirare” la trama urbana e rigenerarla, dotandola degli spazi e dei servizi che oggi mancano. Alla stessa società potranno rivolgersi, per acquisire la capacità edificatoria di cui non dispongono, le imprese turistiche che intendono innovare, crescere e adeguare la ricettività alle fasce di mercato più esigenti.
Se avessimo uno strumento di questa natura, potremmo interpretare in modo più intelligente la rimozione del vincolo di destinazione d’uso per le strutture alberghiere, finalizzandolo principalmente alla qualità urbana del nostro sistema di accoglienza e scoraggiando la loro trasformazione in edilizia residenziale. Dovremmo anche valutare, sempre privilegiando l’aspetto della qualità urbana, le possibilità di reale utilizzo della nuova capacità edificatoria acquisita, comprendendo in ciò l’opportunità di modificare lo sky line di alcune porzioni della zona mare.
Per fare girare un meccanismo di questo tipo, tuttavia, è necessario nuovo carburante che solo in parte oggi è nella nostra disponibilità. In primo luogo, un quadro legislativo che lo consenta e lo disciplini. Si possono cercare molte strade nuove, ma migliorare norme esistenti mi sembra in genere la via migliore e più veloce. L’articolo 120 del testo unico degli enti locali prevede già le Società di Trasformazione Urbana (STU), agganciare lì una nuova disciplina per il turismo non mi sembra impossibile. Decisivo dovrebbe essere inoltre un ventaglio di incentivi fiscali che premi (dalla detassazione delle compravendite immobiliari, alla radicale riduzione del periodo di ammortamento degli investimenti effettuati o ai crediti di imposta) chi partecipa ed interviene nell’ambito delle nuove STU turistiche. Occorreranno anche risorse finanziarie per fare partire il programma di acquisizioni di capacità edificatoria. Si tratta, tuttavia, di un fondo di rotazione che verrà progressivamente nuovamente alimentato dalle cessioni previste.
L’altro carburante deve venire da un riesame puntuale delle previsioni urbanistiche della zona turistica che consenta maggiore flessibilità nel rapporto tra pianificazione pubblica ed iniziativa dei privati. Un censimento dei molti alberghi e pensioni fuori mercato ed ormai chiusi o sul punto di chiudere può essere utile per cominciare a disegnare il nuovo spazio urbano che potrebbe essere realizzato sottraendo o trasformando in servizi quelle edificazioni. La medesima flessibilità dovrà essere usata per i punti di atterraggio delle capacità edificatorie cedute. In questo caso il tema fondamentale diventa quello dell’altezza degli edifici e delle porzioni di territorio che possono essere interessate dal cambiamento dello sky line.
Infine, c’è un impegno importante che, nel partorire una nuova strumentazione normativa che consenta di incidere in modo così profondo nei meccanismi dell’economia locale, non può essere disatteso: è la sua trasparenza, l’evidenza pubblica di ogni acquisizione e cessione, il rifiuto di piegare le norme per favorire interventi ad personam, la definizione di regole che valgano per tutti e che siano effettivamente riscontrabili.
Si tratta di un disegno troppo ambizioso? Forse, ma una cosa è certa, non è il piccolo cabotaggio che ci salverà. Roma, Bologna, Rimini. Non riusciremo a scongiurare una prospettiva di declino, se non saremo capaci di muoverci nelle diverse sedi con un disegno comune. Un patto per la riviera non dovrebbe essere impossibile, le elezioni sono lontane, la politica può dare il suo meglio.
Sergio Gambini