Immigrazione in continua crescita. I numeri in provincia/1

Sabato, 10 Marzo 2012

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Immigrazione in continua crescita. I numeri in provincia/1


Fuori dai facili slogan, inclusivi o esclusivi, l’immigrazione è una realtà con cui ci troviamo a convivere quotidianamente. Ed è, appunto con questa quotidianità, oramai capillare, che vogliamo provare a confrontarci.
Partiamo, in primo luogo da alcuni dati relativi alla realtà riminese, che Patrizia Fiori, referente del Comune di Rimini per le politiche di immigrazione, ci aiuta a dirimere sulla base del rapporto elaborato dalla Provincia e datato 1 gennaio 2012.


In provincia di Rimini, su 329.224 abitanti, ben 33.113 sono stranieri, pari al 10,1%. RImini si trova sulla media regionale (Emilia Romagna 11,5%), mentre il dato nazionale è lievemente più basso (7,5%).
L’incremento rispetto l’anno precedente è pari a 2.564 unità (+8,64%).
Teniamo presente che nel 1993 gli stranieri in provincia erano solo 3.300 unità (per il 33% Sanmarinesi e per il 23% provenienti da Paesi del Nord Europa).
Se si vanno a vedere le singole unità familiari, pari a 139.394 unità, sempre in provincia, riscontriamo che l‘11,1% presenta almeno un componente straniero al suo interno.


Gli stranieri sono presenti in maniera più marcata nei comuni sulla costa (Rimini e Riccione raccolgono globalmente il 57,8 % degli stranieri residenti), tuttavia nella classifica dei Comuni a più alta pressione migratoria troviamo, in ordine: Bellaria-Igea Marina (13,5% della popolazione intera residente), San Leo (12,1%), Morciano di Romagna (11,7%), Rimini (11%), Torriana (10,7%), San Clemente (10,5%), Cattolica (10,1%), Montescudo (10%).
In provincia abbiamo globalmente la presenza di ben 127 nazionalità differenti, tra cui la più numerosa, ma meno preponderante di un tempo, è quella albanese, attestata al 24,2% (+ 231 unità rispetto allo scorso anno), seguita da quella rumena al 13,6% (+ 451 unità) e ucraina al 10,7% (+585). Seguono Marocchini 6,2% (+139), Cinesi 4,4% (+ 128), Moldavi 3,6% (+287). Nel comune di Rimini è tradizionalmente forte la presenza senegalese.
Varia e differenziata la tipologia dell’emigrazione, a seconda delle varie etnie. Dal nordafrica abbiamo un’immigrazione prevalentemente maschile, mentre è femminile quella dai paesi dell’Est. Dall’Albania abbiamo un flusso migratorio che presenta un’aspettativa di permanenza in Italia, al contrario delle due precedenti realtà.


La provincia di Rimini sta entrando nella fase dell’emigrazione di seconda generazione. Ben 4.467 stranieri sono nati in Italia (13,5%). Ben 6.609 presentano un’età che va dai zero ai 17 anni (pari al 20% della popolazione straniera residente). Interessanti anche i dati relativi alla scuola. Gli stranieri nella scuola media sono pari al 12%, mentre il 10% frequenta le superiori, con queste partizioni: 43% professionali, 34% i tecnici e 24% i licei.
Non sono stati elaborati per il momento dati relativi alle attività professionali gestite dagli stranieri in provincia, dati su cui otteniamo l’impegno di una prossima precisazione, di cui daremo prontamente notizia. Risulta in ogni caso palpabile la percezione che il morso della crisi si faccia sentire in maniera drammatica, a causa della riduzione o della perdita del lavoro. In tal senso la speranza è nel lavoro stagionale, ma la preoccupazione più prossima è relativa all’emergenza Nord Africa, ovvero alla presenza di ben 100 unità provenienti dai paesi interessati alla “primavera araba”, ospiti in provincia con lo status di rifugiati. Non è chiaro come potranno collocarsi in un prossimo futuro, sia a livello di status giuridico che economicamente.
Pare vivace l’attività associativa tra gli stranieri, con numerose realtà presenti, pur con differente, e non sempre sostanziale, capacità rappresentativa.


A fronte di questa situazione quali soluzioni è possibile prospettare? Abbiamo interpellato la vice sindaco di Rimini Gloria Lisi che, peraltro, ha iniziato la sua attività professionale da avvocato, proprio quale consulente legale allo Sportello dei migranti, per conto dell’associazione Madonna della Carità.
“Siamo in una situazione di eccellenza per i servizi legati all’immigrazione e più in generale Rimini risulta essere una città vocata all’accoglienza. Ma occorre non demordere e vigilare perchè non si incrini il rapporto che sembra nell’insieme positivo tra realtà locale e migranti”.
Cosa occorre perchè non si ingeneri un circuito vizioso?
“Occorre procedere e potenziare i servizi, quali i corsi di italiano, oppure corsi che permettano agli immigrati di immedesimarsi nella nostra cultura, offrendo anche servizi che possono apparire elementari. Penso ad esempio all’esperienza di alcuni corsi di cucina. Iniziative cioè che possano creare relazioni amicali e parentali proficue. Ma soprattutto occorre tenere presente la fragilità del migrante, che si trova in una realtà a lui inizialmente sconosciuta”.
Ritiene vi siano criticità nascoste, sacche di difficoltà, ghetti?
“Non vedo criticità nascoste. Rimini, come l’Italia, vive l’immigrazione come un fattore relativamente nuovo, rispetto a nazioni di tradizione coloniale, come la Francia o l’Inghilterra, senza dubbio più avanzate e pronte, in questo ambito. Noi in questo modo però possiamo evitare errori, che pure questi paesi hanno commesso. Basti pensare alle banlieu parigine…”
Quali gli errori da evitare?
“Credo che l’errore più grave possa essere quello di chiedere all’immigrato di dimenticare la sua cultura di origine. Specie negli immigrati di seconda generazione, portare a dimenticare l’identità originaria, comporta tensioni e rabbia che possono divenire incontrollabili. L’immigrazione implica un incontro tra culture differenti in cui risulta essenziale sia la cultura d’origine che la cultura che si viene ad incontrare. E questo lo intendo sia per il migrante che per noi, locali. In sostanza vi è una stima di sè da fortificare, per entrambi, senza la quale non si può arrivare ad una reale e duratura integrazione”.


La domanda che resta è come sia possibile generare questa “stima di sè”. Ovvero cosa permetta di affrontare l’altro fino a rispettarne l’identità profonda, senza il timore che questa porti via qualcosa della propria. Quanto si tratti dunque di incontro di culture e quanto di incontro di persone.
Su questo nodo occorrerà aprire un serrato dibattito.


Emanuele Polverelli