Dopo i dieci anni convulsi dell’amministrazione Gnassi, tutti abbiamo pensato che una pausa di ‘normalità’, di ordinarietà, una certa misura nel governare e nel fare fossero necessarie. D’altra parte, nel suo incarico di sindaco, Andrea Gnassi è stato uno degli ultimi visionari protagonisti della vita cittadina (e dei quali, in attività, rimane ormai il solo presidente della Fiera Lorenzo Cagnoni).
Poiché dunque all’orizzonte non sembrano apparire nuove figure di questo tipo, che associno una visione personale originale e innovativa, la necessaria determinazione e le altrettanto necessarie risorse economiche e di potere, forse dovremo rassegnarci a un periodo di ‘normalità’ più lungo di una semplice pausa e nel quale, più che aspettarsi nuove ‘avventure’, sarà necessario capire come valorizzare e aggiornare continuamente ciò che fa già parte dell’identità cittadina.
Una prima conferma di questa necessità ce la offre la decisione della Fondazione Carim di ridurre le proprie quote in Unirimini, praticamente ritirandosi dall’università. Una scelta che ha il valore simbolico e anche molto concreto della fine di un’epoca, una scelta tanto evidentemente contraria alla storia della Fondazione stessa da apparire emblematica di un atteggiamento nuovo, che arriva a coinvolgere la propria identità e del quale prima non ci si era accorti. E così, che Mauro Ioli non sia Luciano Chicchi non è più solo una questione di paragoni (absit), ma pone improvvisamente e drammaticamente il tema dei ‘fondatori’ moderni di questa città e di come comportarsi con la loro eredità.
Per la continuità di contenuti e atteggiamenti che arrivano fino al presente, possiamo dire che la Rimini di oggi sia ‘nata’ negli anni Ottanta. È la città capitale della vacanza moderna - o, per meglio dire, postmoderna - che ha il suo mito fondativo nel romanzo di Tondelli, e del quale la rinascita dopo le mucillaggini appare quasi la riprova miracolosa; è la città che, da allora, è stata capace di sviluppare una sua identità originale (“di tendenza” si cominciava a dire allora) e allo stesso tempo restare comunque popolare.
Ma questa Rimini non è nata dal nulla, è figlia di una idea di città e di turismo che voleva lasciarsi alle spalle il successo degli anni ’60 e guardava a modelli e categorie culturali allora emergenti. Ma soprattutto è figlia della visione cui alcune persone, ognuna nel proprio ‘campo’, hanno dedicato la vita. Perché per ‘costruire’ una città che ambiva a diventare la città dell’accoglienza, la città dell’ospitalità, la città dell’incontro, la città per tutti, ci volevano uomini che non si accontentassero solo di mettere in piedi un business o fare carriera, che non pensassero solo a loro stessi, ma che invece avessero un sogno e la pretesa che il loro sogno potesse essere di tutti o comunque un bene per tutti.
Ognuno potrà compilare l’elenco delle ‘opere’ e dei nomi che hanno contribuito alla costruzione dell’immaginario e dell’identità riminese anche solo seguendo il filo dei ricordi o della propria partecipazione alla vita cittadina. Un elenco che comprenderà infrastrutture ed eventi, idee e immagini, istituzioni, imprese e associazioni. Solo perché più rappresentativi dell’ultimissimo periodo e anche molto diversi tra loro, qui citiamo solo l’esperienza dei forum del piano strategico, il nuovo lungomare e la rinascita popolare del basket riminese.
I nomi cui corrispondono le innovazioni che potremo elencare sono tanti e in realtà potremmo includere ogni riminese, perché il “protagonismo di tutti”, il “sentirsi parte di un progetto”, è esattamente il dono dei ‘fondatori’ e dei ‘sognatori’. In ogni caso questa visione e ciò che essa ha generato nel tempo costituisce l’eredità che ci viene lasciata e della quale dobbiamo farci carico diventandone a nostra volta protagonisti. Una dinamica, questa del passaggio del testimone, che in questi anni ha toccato naturalmente anche le principali imprese riminesi così come tanti piccoli e grandi alberghi, e allo stesso modo movimenti religiosi, associazionismo culturale e sociale; e in modo tutto nuovo ci porterà ad affrontare anche il ricambio prodotto dai bandi delle imprese di spiaggia.
Dopo i fondatori (che hanno il privilegio come i santi e gli eroi di dover servire solo la propria missione) viene sempre l’epoca del servizio, del mettersi a disposizione di un bene cui contribuiamo ma che non è nostro, che non abbiamo deciso noi, su una strada che non abbiamo tracciato.
Un mestiere per niente facile, che chiede comunque scaltrezza, intelligenza, grande energia; ma soprattuto presuppone una certa purità del cuore senza la quale il bene di tutti non è possibile (se ne può sorridere, ma è l’unico vero vanto di cui noi, uomini di questi cambiamenti d’epoca, possiamo fregiarci).
E dunque, se questo – dopo quasi quarant’anni – non è più un tempo in cui vediamo affacciarsi nuovi ‘fondatori’ e nuovi ‘sognatori’, come dovremo comportarci praticamente? Ovviamente nessuno può avanzare una ricetta, ma anche il solo porsi la domanda sarà fondamentale se potremo presupporre la possibilità di un dialogo e di una riflessione comune con chi condivide con noi la vita e la passione per questa città.
E sarebbe interessante che l’Amministrazione comunale per prima capisse e accettasse questo suo compito storico particolare, questa tutela comune, magari creando luoghi nei quali mettersi in ascolto e in dialogo con i propri cittadini. Condividere il pensiero, le intenzioni, l’atteggiamento nei confronti dell’eredità ricevuta è segno di grandezza (e nessuno potrà comunque togliere nulla alle sue prerogative di governo e di decisione).
(rg)