Il Teatro di San Girolamo a Marina Centro è gremito da più di un centinaio di partecipanti, come non capita di frequente per le iniziative parrocchiali. Sono presenti anche alcuni giovanissimi, oltre a diversi adulti ai quali si aggiungono non pochi amici del relatore e altri riminesi incuriositi dalla proposta.
Tutti ad ascoltare il prof. Wael Farouq, docente di lingua e letteratura araba all’università cattolica del Sacro Cuore di Milano. Titolo della serata: Un incontro umano imprevisto. La scoperta che l’altro è un bene. Egiziano, di fede musulmana, Wael, non ancora cinquantenne, sposato con tre figli adolescenti, precisa che da ventisei anni la sua vita è segnata dall’esperienza di amicizia con tanti cristiani cattolici, in una trama di rapporti sviluppatasi a partire dall’incontro con uno studente italiano al Cairo, quando Farouq era giovanissimo insegnante. Wael conosceva bene l’occidente, ed era cresciuto in un antico quartiere cristiano. Ma non è l’attrattiva della cultura occidentale o il fascino dei valori cristiani a muoverlo. In quell’incontro si accorge di qualcosa di diverso, che non aveva mai visto prima. Quello studente non corrisponde allo stereotipo dell’italiano – solitamente elegante, amante della buona cucina e in compagnia di belle donne – ma sembra piuttosto un americano per come si veste e lo sorprende perché non ha una compagna. Poi capirà che appartiene ai Memores Domini (uomini e donne, laici appartenenti al movimento di CL, che vivono in povertà, verginità e obbedienza).
«Questo ragazzo ha un particolare – racconta Farouq – non appartiene a una ideologia o a una grande tradizione, ma ad una presenza. Quello che ho visto non deriva da uno che è convinto da un’idea e che crede in una teoria, ma da uno che ha vissuto un’esperienza. Il suo cuore è stato allenato lentamente nel tempo, generando una capacità straordinaria di vedere il bene».
Questo incontro introduce una novità assoluta nella vita di Wael, che nella dialettica delle dispute con i suoi studenti cristiani si divertiva a «tentare di demolire la loro fede», come racconta ironicamente. «Nel dibattito posso discutere la teologia della Trinità, ma se uno apre i tuoi occhi facendoti vedere una cosa bella non puoi negarla, non puoi dire “no, non è vero”».
Cosa ha colpito realmente Farouq? «Lui aveva questo sguardo che mi ha fatto capire una bellezza. Io mi fermavo e chiedevo: “che bellezza vedi in questo?”. Facendo così riuscivo a vedere una bellezza che prima non vedevo. Uno sguardo che non dà una risposta, ma uno sguardo che genera una domanda e una domanda che guida una verifica. Una verifica che fa crescere il cuore e lo rende in grado di conoscere la bellezza della sua esistenza. Questo è l’incontro: un’esperienza che richiama una presenza, che si può incontrare veramente quando uno ti fa aprire gli occhi».
Da qui si sviluppa una storia fatta di incontri e di rapporti decisivi per la sua vita, di cui Rimini è una tappa fondamentale. Wael racconta di come si stupì per la libertà e l’apertura con cui fu invitato a parlare al Meeting, con il quale si è coinvolto fino a proporre lui stesso il Meeting del Cairo con volontari musulmani e ad appassionarsi a Il senso religioso di don Luigi Giussani, dal 2006 tradotto in lingua araba e diffuso anche in ambienti di fede musulmana.
«Non ho ancora cinquant’anni e da ventisei anni vedo questa esperienza – racconta ancora stupito Wael – praticamente tutta la mia vita da persona adulta, grazie a Dio. Questo incontro mi ha fatto riscoprire chi sono». Mentre Farouq continua il suo racconto cresce una familiarità, è come se condividessimo da sempre l’esperienza decisiva della nostra esistenza. Succede, non è l’esito di una riflessione. Non c’è, infatti, contenuto da lui proposto che non fiorisca dall’esperienza vissuta e, così, si precisa cosa significa affermare che l’altro è un bene. «Nessuno può dire che “l’altro è un bene per me” se non è consapevole del proprio io, della propria identità. Quello che ho capito dalla mia esperienza è che solo un “io” che vive la propria identità, che non crede in una teoria – perché anche il cristianesimo può diventare una ideologia – ma vive un’esperienza, può incontrare l’altro. Ho amici cristiani “buonisti”, che mi chiedono come fare a incontrare i musulmani. Io rispondo semplicemente che basta essere cristiani».
Ascoltando Wael anche noi ci siamo sorpresi a capire chi siamo. L’annuncio cristiano non è una teoria o una ideologia, ma un fatto che si scopre nell’incontro con una umanità che attrae. Così anche l’incontro umano con Farouq ci restituisce la nostra identità, facendoci imparare quello che crediamo già di sapere.
In questo cambiamento d’epoca, in cui è sempre più evidente che la cristianità è finita, scopriamo un germoglio di novità che ci testimonia come il cristianesimo sia vivo e presente. Per comunicarsi non ha altra forza se non l’impatto umano con l’esperienza di chi lo vive. Lo affermò Luigi Giussani intervenendo al Sinodo sui laici del 1987: «Ciò che manca non è tanto la ripetizione verbale o culturale dell’annuncio. L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata». Nell’incontro con Wael Farouq lo abbiamo riscoperto, non perché ci è stato spiegato ma in quanto è accaduto.
Quello che abbiamo vissuto, in questo momento drammatico della storia, è una speranza per tutti. Non abbiamo altro da offrire a noi stessi ed ai nostri fratelli e sorelle, uomini e donne del nostro tempo.
don Roberto Battaglia,
parroco di San Girolamo