Una lontana estate/I. Scende un ponte levatoio davanti a distese di grano
Tra le vedute riminesi che il pittore britannico Turner abbozzò nei propri appunti, la più complessa occupa quasi due pagine del suo taccuino. Il disegno, non è esplicitamente riferito alla città, sebbene essa sia chiaramente riconoscibile in quanto viene sostanzialmente riproposto un punto di vista più volte sfruttato dai vedutisti che si sono occupati di Rimini. Si tratta infatti di una scena assai sinteticamente definita, che, ripresa dal greto del Marecchia, spazia dalle mura del porto (visibile anche la sagoma della Cattedrale di S. Colomba), riprende di scorcio il ponte di Tiberio, per mostrare in primo piano il lato monte del Borgo S. Giuliano. Qui si vede ciò che restava in quel punto delle mura del borgo, quindi il grande edificio del monastero, sul quale svetta il campanile della chiesa.
Specificamente interessante nella veduta è poi quanto si intravede delineato all’estrema sinistra, ovvero l’antica porta urbica di S. Giuliano, così come essa era visibile nei primi decenni del XIX secolo. In realtà, per quel che si intuisce, la struttura sembra ridotta a non molto più dell’archivolto del passaggio nella cinta muraria, in una sistemazione forse non troppo diversa da quanto è rimasto della cosiddetta Porta Gervasona, presso la chiesa della Madonna della Scala. Per altro, la porta di S. Giuliano, fu per lungo tempo l’unico ingresso nelle mura a nord della città ed, in origine fu affiancata da un torrione, nonché dotata di ponte levatoio, da calarsi ed alzarsi sopra un fossato. L’aspetto debole delle difese del borgo in quel punto era comunque la vicinanza con il fiume che, nelle ricorrenti e furiose piene, travolgeva gli stessi bastioni, causando enormi danni anche alle case.
Tant’è che per queste ragioni le strutture presso la porta si trovavano in una situazione assai precaria l’otto di Giugno del 1469, quando proprio in questo punto si giocarono i destini della città. Come consuetudine, infatti, quel giorno, al sorgere del sole, udito il suono della “campana grossa” del Palazzo Comunale, anche alla porta del Borgo, come per le altre porte urbiche, venne abbassato il ponte levatoio. Considerando l’attuale caotica situazione urbana della zona, occorre anche dire che provoca una certa suggestione il pensiero che, secoli fa, in un giorno della tarda primavera, il ponte levatoio si aprisse davanti a distese di grano ormai alto che, come ci informano le antiche memorie, giungevano ai confini cittadini. Si può essere comunque certi che i guardiani della porta non concessero tempo a contemplazioni bucoliche: le estasi romantiche davanti a panorami agresti erano ancora di là da venire e, soprattutto, si vivevano allora tempi di forte tensione, come quella che si respira nell’attesa di grandi ed incombenti rivolgimenti.
A non più di otto mesi dalla morte del signore Sigismondo Pandolfo Malatesta, la città era infatti retta allora dalla vedova Isotta Degli Atti e dal figlio Sallustio, col sostegno militare di un reparto di fanteria veneta. A tutti era inoltre evidente che, dopo le sconfitte patite da Sigismondo, l’antico dominio malatestiano era allo stremo, privato ormai dei castelli dell’entroterra e ridotto pressoché alla sola Rimini. Si trattava, insomma, di un territorio pronto ad essere fagocitato da una grande potenza, da definirsi quale tra lo Stato Pontificio e la Serenissima Repubblica Veneta. Va però aggiunto che, tra i due grandi contendenti, vi erano stati altri che, a loro volta, avevano trovato spazio per giocare le proprie carte.
Tant’è che, a distanza neppure di due settimane dalla morte del marito, Isotta si era vista comparire davanti, nel castello, il figliastro Roberto, entrato in incognito ed incaricato dal Papa di operare (con tutti i mezzi) per assicurare la città alla Chiesa. Egli tuttavia, una volta accolto nel governo cittadino, non si era neppure sognato di rispettare l’incarico e, piuttosto, aveva aderito ad una Lega antipapale composta da Napoletani, Milanesi e Fiorentini. Questa, quindi, era la situazione quando, all’alba dell’otto Giugno 1469, all’ordine del Conestabile ad essa preposto, alla porta di S. Giuliano venne abbassato il ponte levatoio. Come si diceva, di certo di guardiani della porta non persero tempo a contemplare la distesa di grano ormai maturo che si estendeva a ridosso delle mura. Se tuttavia lo avessero fatto, allora forse si sarebbero accorti che, acquattati fra le spighe, si nascondevano otto soldati scelti tra i più fidati nelle milizie pontificie. In tal caso, magari i guardiani avrebbero anche potuto scoprire che i dodici uomini in abito da pellegrini che attendevano di entrare erano anch’essi miliziani papali i quali invece, assieme a quelli nascosti tra il grano, balzarono loro addosso e li annientarono. Anche il Conestabile fu travolto, mentre nessuno tra i borghigiani ebbe possibilità e – forse – neppure coraggio di opporsi, cosicché in breve l’intero Borgo cadde in mano nemiche. Allo stesso tempo, un consistente nerbo di truppe ecclesiastiche, che sino allora erano rimaste a distanza di sicurezza, affluì sul luogo e mise in atto un devastante saccheggio.
Il papa, dopo il voltafaccia di Roberto, si era infine risolto a prendere Rimini con la forza e, a quel punto, a ultima difesa della signoria malatestiana e dell’autonomia, non rimaneva che l’alto torrione di S. Pietro, che dominava il ponte romano sul Marecchia al di là del fiume. Forse, in tal frangente, si accese una mischia presso tale baluardo il cui ponte levatoio, tuttavia, riuscì alla fine ad alzarsi, sbarrando l’accesso. Per il momento, le truppe del Papa, che nel frattempo continuavano ad affluire da Santarcangelo dove si erano radunate, erano riuscite ad impossessarsi solo del Borgo di S. Giuliano. Qui gli ecclesiastici posero allora cinque bombarde “...le quali traevano nocte e dì alla torre e mura, e alcune per la città. Le botte ratte delle bombarde grosse furono mille cento ventuna, senza le piccole.” Era così iniziato un assedio alla città sul quale cronisti e diplomatici del tempo avrebbero speso molte parole in resoconti e memorie. Per quanto riguarda Rimini, essa, alla fine, ne sarebbe uscita assai mutata in quello che era stato il suo secolare aspetto medievale.
L. Tonini, Storia di Rimini, vol. V, P. I, , Rimini, 1880, pp. 325 e ss. A. Turchini, La signoria di Roberto Malatesta detto il Magnifico (1468-1482), Bruno Ghigi Editore, Rimini, 2001.
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