Una via riminese alla cultura (per essere capitale)
Lo spunto per questa riflessione è la pagina che il Domenicale del Sole 24Ore del 18 di marzo ha dedicato al tema dei piani strategici. In particolare, ispiratrice è stata una battuta di Paolo Verri, già consulente del piano di Rimini: “Si prenda ad esempio il documento elaborato da Mons, città belga di circa 100mila abitanti, che è riuscita a strappare la nomina a capitale della cultura nel 2012”.
Mons? Capitale della cultura? Ci ha incuriosito e ci siamo informati su Mons: cittadina belga, a 70 km da Bruxelles, citata per una bellissima piazza con caffè all’aperto, vie medievali ben conservate, la stupenda torre civica barocca patrimonio mondiale dell'UNESCO (87 metri di torre seicentesca in gres e pietra azzurra con un carillon di 49 campane), la stazione disegnata da Calatrava, una dimora di Van Gogh. Questa è Mons, nel 2015 capitale della cultura con lo slogan “dove la tecnologia incontra la cultura”. Qui il video che la presenta.
Bene, qual è la riflessione? Che non sembra poi volerci tanto a diventare capitale della cultura; e pensando a tutto quello che accade a Rimini in un anno, al patrimonio di beni culturali e al nome “Rimini” che ancora resiste a livello europeo, dovrebbe venire voglia di misurarsi con le altre città. Rimini, invece, cosa fa? Si accoda a Ravenna, impegnata nella competizione per il 2019. Anzi, Ravenna chiederà a Rimini di creare eventi per promuovere e aiutare la propria candidatura. E con Rimini, Ravenna ha chiamato come supporto nel comitato promotore anche le altre città cugine: Cesena, Forlì, Cervia, Lugo, Faenza. Tutte città che da sole non potrebbero aspirare a qualcosa del genere, a parte una, Rimini, che forse farebbe bene a considerare l’ipotesi di sfilarsi e di iniziare a lavorare a una propria candidatura. Magari per il 2027, l’anno stabilito per il piano strategico.
A patto di allargare l’orizzonte e la concezione di cultura che normalmente si ha e che a Rimini può stare un po’ stretta: cultura è la Domus, cultura è l’Arco, il Tempio, il Trecento e tanti altri beni archeologici e artistici che a Rimini ci sono, ma cultura è anche quanto accade al presente, ciò che si fa nell’oggi. E’ chiaro che questo presuppone un giudizio di qualità sulle manifestazioni e sugli eventi, sui festival e sugli appuntamenti che vengono promossi, insomma su tutta la modernità fasulla che tira tanto qua da noi, ma è l’unico modo – questo spostamento nella concezione di cultura – che ci potrebbe permettere di valorizzare veramente quell’idea di città dell’incontro e dell’ospitalità che proprio il Piano Strategico porta avanti. Affinché la “cultura dell’incontro” non sia solo uno slogan con il quale ci balocchiamo, ma un modo originale o almeno personale di intendere la contemporaneità e le relazioni che in essa oggi si pongono, diversamente dal passato e dall’antichità; cultura, appunto.
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