Stabilimenti balneari e Bolkestein: le idee di Nomisma
Il turista che arriva sulla Riviera romagnola nei mesi estivi lo fa per andare in spiaggia. Sembra la scoperta dell’acqua calda ma è invece il punto di partenza delle conclusioni dello studio effettuato da Nomisma per conto delle Cooperative bagnini di Cervia e di Cesenatico. Lo studio vuole essere un contributo al dibattito sulla direttiva Bolkestein sulle concessioni demaniali. Il governo italiano ha varato una proroga della situazione attuale fino al 2020, ed è quindi più che mai aperto il dibattito su come allinearsi all’Europa senza mandare in frantumi decenni di tradizione balneare italiana e romagnola in particolare.
L’affermazione di Nomisma si spiega con il fatto che, nella realtà, lo sviluppo del dibattito sul modello di turismo balneare tende a non riconoscere la centralità della spiaggia: “Lo stabilimento balneare è percepito come un elemento marginale (o forse viene dato per scontato) del complesso meccanismo che porta all’elaborazione del prodotto soggiorno balneare. Il bagnino, in questo quadro, ha un ruolo passivo, sfrutta un bene pubblico, percepisce delle rendite elevate su un bene non suo, pagando somme esigue per la concessione del bene demaniale ed evadendo le imposte. Se questa immagine negativa degli operatori degli stabilimenti balneari è quasi caricaturale, gli stabilimenti stessi non hanno fatto molto per modificare questa percezione esterna negativa del proprio ruolo”.
Una premessa per arrivare ad affrontare i nodi in discussione. Primo fra tutti, le dimensioni di uno stabilimento balneare, che a Cervia e a Cesenatico, ma la situazione non cambia di molto nella situazione riminese, è attualmente di circa 35 metri. Si sente dire spesso che bisognerebbe arrivare a bagni di 300/400 metri, in modo da avere sulla spiaggia “discoteche, centri benessere, gallerie commerciali, ristoranti, con un potenziale sfruttamento di importanti economie di scala e di contenimento dei costi”. Osserva invece Nomisma: “Questo nuovo assetto comporterebbe molto probabilmente non solo un cambio negli operatori economici, ma anche, e soprattutto, la trasformazione radicale del tipo di soggiorno balneare rispetto all’attuale offerta”. E ancora: “Il modello che sembra prefigurarsi con l’introduzione delle modifiche nell’assetto gestionale della spiaggia conduce a una netta cesura rispetto all’attuale assetto socio-economico di una destinazione, con una marcata concentrazione delle imprese e una contestuale chiusura di otto, nove decimi degli stabilimenti esistenti”. Altra conseguenza: i bagnini da piccoli imprenditori diventerebbero dipendenti.
L’eventuale arrivo dei mega stabilimenti balneari che effetti produrrebbe sul modello attuale? Ne vengono indicati alcuni: nel nuovo assetto, la presenza dei turisti sarebbe concentrata sulla spiaggia per molte ore in più; quindi molte aree geografiche attualmente centrali (e le attività commerciali ivi presenti) perderebbero parte della propria attrattività; parimenti, è plausibile che si rafforzi il legame tra alberghi e stabilimenti, con i primi che partecipano (e prendono in affitto) alle concessioni demaniali.
Secondo Nomisma tutto ciò non servirebbe ad accrescere la competitività della Riviera romagnola rispetto a destinazioni che hanno avuto uno sviluppo turistico più recente (quali la Costa del Sol oppure i moderni insediamenti turistici sulle coste della Dalmazia e dell’Istria, della Turchia o dell’Egitto). Inoltre ci sarebbe un probabile aumento dei prezzi a carico degli utenti, per via del maggiore potere di mercato dei concessionari.
D’altra parte Nomisma osserva che le attuali piccole imprese balneari non possono fare investimenti sistemici, ed oggi non possono farli nemmeno gli enti pubblici per evidenti ragioni di bilancio. Che fare allora? Lo studio indica alcuni punti per uscire dalle secche.
Competere fra sistemi
La competizione fra bagnini è attualmente sui vari servizi che uno offre (Giochi, attrezzature sportive, ecc.) e sul prezzo. Ma la competizione oggi avviene soprattutto fra sistemi: quindi è importante che nella località ci sia un sistema di salvataggio efficiente, un ospedale vicino, una viabilità adeguata, l’assenza di criminalità, e così via. “Assicurare una elevata qualificazione della località balneare significa fornire in modo adeguato questi beni pubblici, anche se questi ultimi beni non sempre sono prodotti dal settore pubblico (sebbene, storicamente, spesso questa è stata la scelta)”.
Uscire dal sommerso
E’ forse la ricetta che di primo acchito può risultare più indigesta agli operatori: “Un altro importante sforzo di modernizzazione del settore degli stabilimenti balneari passa attraverso l’uscita dal sommerso”. Eppure è l’unica strada praticabile perché altrimenti il fatturato ed il profitto dichiarato dall’impresa non consentirebbero investimenti significativi. Nella ricerca si cita la significativa esperienza di Passpartout, il sistema ideato a Cervia per consentire al cliente di acquistare dall’albergatore un voucher sui servizi di spiaggia che poi può spendere nel bagno che preferisce, seguendo amici, parenti, compagnie. Molti operatori non hanno aderito perché il sistema prevede una tracciabilità completa delle presenze.
Tecnologia e innovazione
Per centrare questi obiettivi non serve – dice Nomisma – passare alle grandi concessioni. “Il rischio è quello di ripetere gli stessi errori, evitando che pochi imprenditori privati forti riescano a controllare un mercato locale, come è avvenuto in passato nel caso delle public utilities”.
Mettersi in rete
Se non vanno bene i bagni di grosse dimensioni, gli stabilimenti balneari possono e devono fare ciò che per certi servizi (il salvataggio) hanno da tempo cominciato: mettersi insieme per gestire servizi comuni da offrire ai turisti. Devono mettersi insieme imprese “simili” per eliminare così la ritrosia delle piccole imprese a compiere investimenti significativi, così come un bagno “grande” non avrà alcun interesse a fare investimenti sistemici, baderà solo ad allungare il tempo della concessione.
Aggregazioni dal basso
Per spingere gli stabilimenti ad aggregarsi per raggiungere dimensioni più congrue non servono regole e decisioni calate dall’alto ma va attuata una spinta dal basso.
Non c’è un modello unico
In definitiva non ci può essere un modello unico a cui gli stabilimenti devono adeguarsi. Secondo Nomisma i dati mostrano che anche nell’ambito di una situazione abbastanza omogenea come la Riviera romagnola, vi sono situazioni diverse per molti elementi: “la dimensione media delle concessioni, il grado di integrazione verticale tra albergo e stabilimento balneare, la presenza di una quota significativa di affitti di stabilimenti, ma anche la dotazione di servizi comuni ai vari bagni e la rappresentatività di una Cooperativa che offre servizi sistemici agli stabilimenti che caratterizzano la vacanza, influenzandone in modo significativo il livello qualitativo”.