Riflessioni a margine del rapporto Caritas

Venerdì, 20 Aprile 2012

3b

Riflessioni a margine del rapporto Caritas


E’ impressionante il rapporto della Caritas, per lo squarcio che apre sulla situazione della povertà riminese, sui numeri e sulla tipologia degli interventi: dal semplice ascolto al cibo, dagli indumenti alle docce, fino all’alloggio e ai casalinghi. Un aiuto indispensabile per molti, e viene da chiedersi cosa accadrebbe se le tante realtà che vengono riportate sul Rapporto e la stessa Caritas domani scomparissero.


Gli enti locali sono in difficoltà. Non c’è momento pubblico in cui il Comune non denunci l’impossibilità del mantenimento del servizi di welfare locale, anche se poi in sede di bilancio l’annuncio è stato “non toccheremo i servizi sociali”.
Ma il problema c’è. La stessa Caritas lo scrive nel suo rapporto, dichiarando che: “ritiene che gli interventi di emergenza, pur necessari, non siano sufficienti. Occorrono politiche di sistema che vedano impegnate le varie organizzazioni e istituzioni riminesi, fuori e dentro la Chiesa”. E ha ragione la Caritas, urge una riflessione sul sistema di welfare locale, dai servizi sociali a quelli educativi.


Il tempo stringe e forse i tappabuchi non basteranno. I tappabuchi, sì, come ha scritto Giuseppe Frangi, direttore di Vita, presentando un’inchiesta in cui denuncia (http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2012/4/12/Famiglie-tappabuchi/267119/) che “da qualche mese i servizi di assistenza per i minori e le comunità educative registrano un calo sorprendente di domande. Come se improvvisamente i bambini italiani avessero risolto collettivamente i loro piccoli (o meno piccoli) problemi. Purtroppo le cose non stanno così e la situazione che si sta registrando in tante strutture è solo frutto di una sorta di inganno ottico. In realtà non sono i problemi dei bambini ad essere diminuiti, ma sono le risorse che i Comuni possono mettere sul piatto per rispondere ad essere calate drasticamente”. E cosa succede allora? Aggiunge il direttore di Vita: “la strategia è quella di lasciare i minori con difficoltà sulle spalle delle famiglie, rinunciando di fatto ad ogni forma non solo di sostegno ma anche di prevenzione”. Alla categoria tappabuchi potete aggiungere la Chiesa, le opere di volontariato, le cooperative sociali. E se i tappabuchi non bastassero?


Fino ad ora è andata bene agli amministratori perché hanno potuto applicare la cosidetta “sussidiarietà costretta”. E’ la stessa Cei ad ammetterlo, presentando un censimento delle “Opere sanitarie e sociali ecclesiali” (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-04-04/welfare-cattolico-sotto-pressione-064131.shtml?uuid=AbKzrjIF) con numeri impressionanti. Si legge nel rapporto: "l'impressione è di essere davanti a un concetto distorto di sussidiarietà e a una utilizzazione del dovere di solidarietà strumentalmente dettati da esigenze di finanza pubblica e dalle inadeguatezze della pubblica amministrazione”.


Di fronte ai numeri della Caritas il problema è sicuramente che il patrimonio è nelle mani di pochi, che bisogna smettere di andare a braccetto con il potere o i troppi soldi scudati a San Marino, come hanno ricordato i nostri amministratori sabato scorso. E’ vero, tutti questi problemi ci sono, ma ugualmente urgente è anche capire come affrontare un’emergenza in cui le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese, in cui gli imprenditori si suicidano, in cui le imprese sociali stringono i denti e in certi casi si mobilitano ancora di più per aiutare le situazioni di emergenza, in cui il problema è la solitudine di fronte alla povertà. Perché nessun evasore in prigione, nessuno zero nella voce capitali scudati potrà essere di compagnia a coloro cui manca il pane o il lavoro. Mestieri diversi. Ammetterlo potrebbe aiutare a liberarsi da strumentalizzazioni e moralismo.


Ultima modifica il Lunedì, 23 Aprile 2012 15:36