Cosa sta diventando Rimini
Una passeggiata sul lungomare di Bellariva ha l’esito di far “scoprire” una realtà già conosciuta, ma solo con la mediazione della carta stampata e del sentito dire. Cento metri di lungomare, una unità di quella organizzazione seriale della Riviera che già Pier Vittorio Tondelli aveva indicato nel suo Week end post moderno. Nei cento metri che percorro ci sono un bar, una pizzeria, una gelateria e alcuni negozi di difficile catalogazione (abbigliamento? accessori? cianfrusaglie?). Uno sguardo superficiale rivela che i gestori di quei negozi sono tutti riminesi di nuova acquisizione, probabilmente pakistani. In quei centro metri si distingue solo una bottega di ricami dove al banco una arzdora guarda la strada con lo sguardo melanconico di chi si sente fuori posto. Di ritorno, c’è il tempo di soffermarsi su qualche dettaglio e di scoprire che i negozi a gestione orientale hanno tutti gli stessi articoli, come se tutti acquistassero dallo stesso fornitore. L’effetto è di un negozio ripetuto più volte, un clone accanto all’altro.
Dove sta il problema? D’istinto vengono in mente le parole che l’ex sindaco Massimo Conti fra gli anni Ottanta e Novanta rivolgeva ai commercianti arrabbiati per il dilagare dell’abusivismo commerciale. Voi commercianti – diceva Conti – avvertite la concorrenza dei vu cumprà perché i vostri negozi sul mare in realtà sono tanti piccoli bazar che vendono la stessa chincaglieria degli abusivi. Aveva ragione, e dove vent’anni il ciclo poco virtuoso si è completato: quei bazar senza identità sono stati acquisiti da immigrati, chissà forse qualcuno è anche un ex abusivo. I commercianti riminesi si lamentavano perché non riuscivano più a trarre reddito dai loro negozietti estivi, questi nuovi dalla lingua straniera sembrano andare avanti senza problemi. È evidente che c’è una gestione diversa (ognuno riempia questa parola dei contenuti preferiti) e probabilmente anche una aspettativa di reddito diversa. Dieci euro mandati in Pakistan hanno un poter d’acquisto nettamente superiore di dieci euro spesi a Rimini.
Dove sta il problema? Quando era assessore provinciale al turismo il sindaco Andrea Gnassi aveva trovato un’immagine abbastanza efficace: non siamo un villaggio turistico di plastica, siamo un posto vero. Intendeva dire che venendo sulla Riviera il turista trovava l’albergatore riminese (oggi sempre meno) tutto simpatia e cordialità, trovava il bagnino (questo ancora), usciva e trovava i commercianti del luogo (oggi quasi più). Insomma il turista fa sempre di meno l’esperienza dell’incontro con l’ospitalità romagnola, cioè con il fattore che ha costruito la fortuna della Riviera.
Dove sta il problema? Basterebbe che cento metri dei viali del mare si rinnovassero e, a catena, per necessaria imitazione, tutti gli altri cento metri li seguirebbero. Invece c’è il rinnovamento, ma al ribasso. Un lungo bazar seriale dal sapore orientale, allora tanto vale prendere l’aereo e andare visitarne uno autentico.
Valerio Lessi
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