Rimini | Servizio idrico, Fare: Solo andare a bando non sarebbe un errore
Servizio idrico integrato, secondo Fare per fermare il declino la scelta che più sposerebbe l’obiettivo di “garantire ai cittadini una distribuzione idrica di massima qualità e sicurezza, con tariffe quanto più basse possibili e senza aggravio per le casse comunali e, dunque, per le tasche dei contribuenti”, in procinto del rinnovo dell’affidamento del servizio “è la gara”. Le possibilità per l’affidamento del servizio il cui affidamento è scaduto nel 2012, sono tre: bando europeo, società in house, società mista. Nel frattempo c’è anche una quarta soluzione, quella applicata attualmente: continuare con la gestione di Hera.
“Prolungare il contratto di Hera spa (che attualmente gestisce in proroga, ndr) e proseguire il rapporto senza neppure rimettere in discussione le condizioni - sottolinea Mauro Gualtieri, referente Comitato “Cavour” della Provincia di Rimini - non avrebbe senso. E’ come evitare perfino di chiedere che il servizio migliori o le tariffe siano contenute”.
Gualtieri ricorda che “l’azionariato di maggioranza di Hera è composto da circa 200 Comuni, i quali controllano le scelta della società attraverso decisioni politiche, come del resto è facile evidenziare analizzando anche su internet i curricula degli consiglieri di amministrazione, che sono in gran parte di estrazione politica, avendo ricoperto ruoli e incarichi anche elettivi a livello comunale e provinciale. In tale sistema, è chiaro che l’interesse alla utile gestione del servizio per il vantaggio del cittadino si può porre in antagonismo con l’interesse al mantenimento di determinati equilibri politici e di potere. Tale secondo interesse non è compatibile con l’obiettivo”.
Rispetto alla possibilità di creare una nuova società in house, “di proprietà del o dei Comuni, e cedere alla mitologia del “bene pubblico gestito in pubblico” sarebbe un grave e insostenibile errore”, sostiene Gualtieri, magari commesso “in buona fede”, ma pur sempre un errore. “E questo ce lo insegna la storia. Non c’è dubbio che l’acqua sia un elemento prezioso, ma proprio per questo motivo è bene che la sua gestione non sia lasciata in mano alla politica, che notoriamente non è in grado per incapacità o disinteresse a gestire i beni preziosi”.
Un esempio è il fatto che in Italia, “la gestione del servizio idrico è nelle mani della politica e dell’amministrazione da decenni e nel nostro Paese ben il 39% dell’acqua che inizia il suo viaggio negli acquedotti viene disperso senza mai arrivare al rubinetto”. I motivi per Gualtieri “sono semplici da capire: chi gestisce non ha interesse (almeno non solo) all’acqua, ma a intrattenere una certa rete di rapporti e relazioni e consentire l’esistenza di un determinato numero di posti di lavoro, fini a se stessi e non anche al servizio da erogare. Le risorse umane non vengono quindi parametrate alle esigenze proprie del servizio, ma a questioni “sociali” ed in base all’appartenenza politica, posto che chi è stato assunto da un determinato schieramento politico ha interesse a sostenerlo e quindi a votarlo. Ce lo insegna la storia. E come fa la politica a permettersi di gestire l’acqua mantenendo le relazioni utili a fini elettorali e pagando le retribuzioni inutili? Tagliando gli investimenti e al contempo alzando il prezzo dell’acqua ed alzando le imposte comunali. Altro modo non esiste. Non a caso, negli ultimi dieci anni le tariffe dell’acqua in Italia sono aumentate del 79,5%. Facciamo notare che negli stessi anni i prezzi dei beni venduti non dal “pubblico” ma dal “privato” tanto cattivo, quello assetato di profitto, che affama i poveri eccetera, sono aumentati poco, anzi, per la precisione stanno calando. Se volete le tariffe basse, meglio i privati, quindi, che a differenza del pubblico ricercano l’efficienza e fanno calare i prezzi”.
Gualtieri ricorda anche che “l’ipotesi delle società in house è comunque impercorribile perché costerebbe, secondo i dati forniti dal coordinatore provinciale di Atersir, Stefano Giannini, 113 milioni di euro, ovvero il costo degli investimenti effettuati da Hera spa e che dovrebbe essere liquidato in suo favore per riscattare le infrastrutture oggetto di concessione. A ciò si aggiungerebbero tutti i costi per la creazione dal nulla della nuova società, di fatto una municipalizzata, magari fornita di consulenti e consiglieri ben pagati e magari estratti tra gli amministratori o funzionari di partito”.
L’ipotesi del bando resiste all’analidi di Gualtieri. “Chi fosse interessato a partecipare saprebbe in anticipo quale sarebbe l’esborso da sostenere per liquidare le opere effettuate da Hera ed effettuerebbe le proprie scelte a proprio rischio (di impresa) in base a criteri di qualità, sicurezza e bassi costi. Il bando permetterebbe agli operatori più qualificati di competere, di preparare proposte competitive, di mettere sul tavolo gli investimenti necessari. Già mettere Hera di fronte alle richieste di un bando e alla pressione competizione, sarebbe un grosso passo avanti, rispetto al solito rinnovo passivo dei contratti”.