Proviamo a immaginare che a settembre una buona parte delle scuole paritarie e dei servizi educativi ed assistenziali 0-6 anni chiuda i battenti. I bambini e gli studenti che le frequentavano saranno costretti a riversarsi nelle scuole statali.  All’emergenza, non ancora terminata, da coronavirus, se ne aggiungerebbe un’altra, un fabbisogno improvviso di scuole e di aule. In Emilia Romagna le scuole paritarie raccolgono circa il 12 per cento della popolazione scolastica, nell’utenza 0-6 anni coprono il 40 per cento della domanda.  Una simile eventualità rende più conveniente alle istituzioni pubbliche intervenire per impedire che queste scuole vadano incontro alla chiusura. 

Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli appelli, lanciati da tutte le associazioni di categoria del settore. Una petizione lanciata online ha finora raccolto più di 60 mila adesioni: chiede che venga concessa la detraibilità fiscale al 100 per cento delle rette pagate dalle famiglie.

Perché le scuole paritarie sono in pericolo? È presto detto: le scuole sono aziende speciali la cui unica fonte di entrata è costituita dalle rette pagate dai genitori. La crisi ha assottigliato i bilanci famigliari, anche perché non corrisponde al vero la vulgata secondo cui queste scuole sarebbero frequentate solo dai figli dei ceti più abbienti. E se le famiglie non riescono a pagare le rette, le scuole non hanno più la principale fonte di entrata. 

“Abbiamo sospeso completamente le rette delle scuole per l’infanzia, – spiega Stefano Casalboni, direttore della Karis Foundation – limitandoci a chiedere un contributo straordinario per le spese generali. Peraltro con le video lezioni noi continuiamo a fare didattica a distanza anche per l’infanzia. Per la scuola primaria abbiamo cercato di andare incontro alle famiglie con un venti per cento in meno. Restano invece inalterate per medie e superiori”. 

Se la situazione è critica per ogni ordine di scuola, a restare completamente senza rette sono quindi i servizi per l’infanzia che nella provincia di Rimini ed anche a livello nazionale si sono costituiti in un comitato denominato EduChiAmo. In questi giorni una decina di realtà educative aderenti a tale comitato (Service Web, Il Nido, Babylandia, Centro per l’infanzia Tabata, La Casa delle Emozioni, Konetica, Kids, La foresta incantata, La finestra) ha scritto una lettera al presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, per sollecitarlo ad aprire un tavolo di confronto con nidi e scuole private per definire le modalità di sostegno.  Analoga richiesta di incontro era stata presentata nei giorni scorsi a Bonaccini nel corso di una conference call organizzata da Compagnia delle Opere.

“I nostri servizi – si legge nel testo della lettera – sono regolarmente autorizzati al funzionamento, hanno fatto investimenti, hanno costi fissi inderogabili e azzerare le entrate, specie per le piccole realtà di cui il nostro territorio è testimone, rischia di costringere alla chiusura dei servizi, con ripercussioni negative sui tassi di occupazione del settore”.

Questi gestori di nidi e scuole per l’infanzia, temono inoltre di essere anche fra gli ultimi servizi che potranno riaprire, vista l’oggettiva impossibilità di mettere in pratica norme di sicurezza a tutela delle persone, quali la distanza sociale e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale, in virtù della tipologia di utenza verso cui si rivolgono e per la natura relazionale stretta del nostro servizio”.

Le realtà aderenti ad EduChiAmo ricordano a Bonaccini che “Da sempre il territorio emiliano-romagnolo è stato lungimirante nel ritenere essenziale un rapporto pubblico-privato che implementasse la copertura dei servizi in regione, tanto che i servizi privati coprono circa il 40% della domanda nella fascia 0-6. Ora, non intervenire con misure a sostegno di queste potrebbe avere una ricaduta deleteria rispetto allo slogan di sempre della Regione “un nido per tutti”.

“Non vorremmo tornare a pensare – aggiungono - che ci sono servizi di serie A e di serie B e che le famiglie che hanno scelto il privato debbano essere trattate come famiglie autosufficienti e che non hanno diritto all’attenzione del governo e dei nostri amministratori locali”.

Cosa chiedono in concreto? Nella lettera si fanno alcuni esempi: l’implementazione e la ridistribuzione del buono “al nido con la regione”, prevedendo una cifra fissa per tutte le famiglie che mandano bambini ai nidi privati, buoni che potranno essere erogati direttamente ai singoli servizi; ed anche l’inclusione nelle categorie previste per il recupero del credito di imposta sugli affitti.

“Oggi più che mai – osserva Lia Fabbri, di Service Web - sono chiare le motivazioni che muovono le nostre opere, una passione educativa che mai si spegne e il desiderio di sostenere le famiglie sia prendendoci cura dei bambini che accompagnando le famiglie nel loro compito educativo. Questa condizione di “chiusura forzata” ha stimolato la nostra creatività e, grazie alle tecnologie, abbiamo inventato nuove forme per stare vicino alle famiglie, fornendo loro una serie di servizi di consulenza. Noi ci siamo”.  

“Potrebbe sembrare che quest’anno la Pasqua non arrivi, che con la quarantena in vigore ci sia anche un prolungamento della quaresima. Invece la Pasqua viene. Cristo è veramente risorto ed è apparso a Simone, recita un antico annuncio pasquale. È vero anche quest’anno”.

Abbiamo, in senso metaforico, bussato alle porte del monastero delle clarisse di Rimini, quella finestra aperta sull’oggi e sull’eterno che si trova nel centro storico di Rimini, in piazzetta San Bernardino. Ad aprirci le porte del suo cuore è la madre abbadessa, suor Nella Letizia.  “Nello scrivere gli auguri per la Pasqua ai nostri amici mi sono soffermata su quel ‘veramente’ : Cristo è veramente risorto. Forse anche molti cristiani pensano alla Pasqua non dico come a una favola ma semplicemente come a qualcosa di bello e consolante. Forse non ci crediamo veramente che Cristo è risorto. Siamo così pieni di cose, il cardinal Biffi diceva sazi e disperati, che Cristo morto e risorto non ci sfiora più di tanto. Sono rimasta colpita che quando hanno detto che si chiudevano le chiese c’è stata una rivolta. Ma quando erano aperte, chi le frequentava? Davvero poche persone”.

Quindi, quale coscienza è richiesta in questo tempo?

“Il Signore ci chiama a fare un salto nella fede. Un padre della Chiesa diceva che nelle persecuzioni la Chiesa si fortificava. Poi con Costantino, la Chiesa è diventata statale o parastatale, essere cristiani è diventato un fatto esteriore. Prima eravamo oppressi dalle istituzioni statali, adesso siamo schiavizzati dei nostri piaceri e delle nostre libertà che sono diventate il valore assoluto. Questo ha reso molle la nostra fede, è il pericolo della mondanità che richiama sempre il papa, un rischio che riguarda anche noi religiose. 

Questo momento è allora utile per ripensare alla propria vita. Dicevamo sempre: ‘Non ho tempo, non ho tempo’. Adesso il tempo si è dilatato, ci mette davanti alla solitudine, al silenzio. Possiamo allenarci ad abitare questo spazio dilatato, diverso dalla vita frenetica, di corsa, che prima conducevamo”.

Tutti ci sentiamo come in clausura. La vita concreta è cambiata anche per voi che la clausura l’avete scelta?

“Certamente, anche se non come a una famiglia o a una comunità religiosa di vita attiva.  Noi siamo state chiamate alla vita claustrale, questa più che una scelta è la nostra risposta alla chiamata. Qualcosa è cambiato, non abbiamo la messa quotidiana, seguiamo in tv quella del papa, non abbiamo il contato con i fedeli.  Nella normalità, la nostra chiesa è sempre aperta per la preghiera, c’è sempre gente che viene a pregare con noi. Manca questo contatto con le persone, questa preghiera comunitaria che aiuta anche noi.

Questa situazione ci impone di fare i conti con uno stile di vita più sobrio. C’è una sorella che ha male ad una gamba, di andare al pronto soccorso non se parla neppure. Dobbiamo imparare a convivere con un po’ di dolore, con una maggiore quantità di bisogni.  Noi prima ricevevamo tanta Provvidenza dagli amici che ci venivano a trovare: frutta, verdura, carne. Adesso molte persone non possono uscire per venirci a trovare, quindi ci abituiamo a vivere con maggiore sobrietà”.

Oltre la grata del monastero vi è giunta l’eco delle sofferenze che questa pandemia sta provocando?

“Abbiamo perso il contatto fisico, prima le persone venivano in portineria o in chiesa, adesso abbiamo triplicato il contatto telefonico o via e-mail. 

Qualcuno che ha perso i propri cari o ha parenti in ospedale ci ha contattato. Abbiamo una sorella fra le clarisse di Bergamo che ha perso il papà e due zii, e adesso lei è positiva. Quando mi chiedono come state, rispondo bene, nel senso che non siamo toccate dal virus, ma non si può star bene quando si sente tanta sofferenza intorno. Senti nella carne la sofferenza dei fratelli, senti tante persone che ti chiamano perché sono alla ricerca di un senso. Qualcuno lo senti proprio smarrito di fronte a questa prova. Ci sono anziani che sono in casa da soli, che non possono vedere i figli, famiglie che devono imparare a vivere insieme.  Prima le case erano come alberghi, uno entrava, l’altro usciva, adesso le famiglie con due tre figli, che hanno esigenze diverse, fanno fatica a convivere. Me lo confidava un amico che ha quattro figli e vive un’esperienza di fede dentro un movimento. Mi è venuto da ricordargli quanto diceva il gesuita san Giovanni Berchmans: vita comune, massima penitenza.  La vita comune è qualcosa che si impara nel tempo; trovarsi a vivere sempre insieme dal giorno alla notte, anche per una famiglia cristiana, non è così naturale e immediato. Lo vedo anche in noi, la vita comunitaria è anche la fatica del confronto, dello scontro. La vita comune è come la favola dei porcospini di Schopenhauer, bisogna trovare la giusta distanza che ti permette di avere calore e di non ferirti. Bisogna rendersi conto che la nostra umanità ha gli aculei”.

Probabilmente non c’è cristiano che in questo periodo non abbia pregato più del solito. Che valore ha la preghiera?

“Rispondo per quella che è la mia esperienza, non ho la pretesa di insegnare qualcosa. La preghiera è il rapporto con un padre. Noi cristiani abbiamo la grazia di rivolgerci a Dio come a un padre. Non è un’entità superiore, è un padre. Ognuno di noi, in base alla propria esperienza, può avere un’idea positiva o negativa del padre. In realtà, il padre è colui che ti ha dato la vita, che ti dà la sussistenza. In questo tempo ho sentito molto la paternità di Dio, come è descritta dal salmo 54 “getta in lui ogni affanno ed egli ti darà sostegno”, oppure dal salmo 130, “come un bimbo in braccio a sua madre è l’anima mia”. Se metti un bimbo di fronte a un burrone, ha paura del precipizio. Ma se il padre o la madre gli danno la mano non ha paura nemmeno ad affrontare il precipizio. Se sull’orlo del precipizio Dio ci dà la mano, ci sentiamo custoditi, io mi sento custodita. La preghiera è un modo per tendere la mano a Dio, chiedere ‘Signore ci sei? Io cerco di esserci, mi fido’.  Credere non è vedere tutto chiaro, è dare la mano a una persona che vede. Dio vede, io non vedo il perché di tutto questo male ma so che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, come dice la Lettera ai Romani”.

Anche voi siete rimaste senza la comunione quotidiana, come avete vissuto questo sacrificio?

“Siamo state una settimana senza, adesso abbiamo la grazia di poterla fare.  Ci è stata tolta la messa dalla sera alla mattina, quindi non avevamo le ostie nel tabernacolo.  Poi un sacerdote, di sua iniziativa, ce ne ha portato una grande pisside, anche se adesso le stiamo terminando. 

Quando siamo rimaste senza ne ho parlato anche al vescovo e lui ha detto che un po’ di digiuno eucaristico ci aiuta a capire l’importanza di questo nutrimento. Quindi in quella settimana seguivano la messa del papa e poi, come da lui indicato, facevamo la comunione spirituale. Alle sorelle dicevo: adesso è ancora più importante fare comunione fra di noi. Questa mattina il papa diceva che saremo giudicati dal nostro rapporto con i poveri. Il Signore non ci chiederà se abbiamo fatto la comunione tutti i giorni ma se abbiamo amato. Adesso noi siamo i poveri gli uni per gli altri, siamo chiamati ad amarci ancora di più. Fare la comunione e non essere in comunione è un controsenso, il papa ce lo dice spesso”.

Il dolore del mondo è il grande scandalo, la ferita sanguinante che porta a chiedersi: dov’è Dio?

“La Pasqua arriva a dirci che il dolore e la morte non sono l’ultima parola nella storia dell’uomo. L’ultima parola la dice la Resurrezione. ‘Io sono la resurrezione la vita, chi crede in me non morirà ma vivrà in eterno’. Bisogna rinfrescarsi non tanto nella religiosità ma nella fede. Occorre chiedere al Signore: aumenta la nostra fede! Dov’è Dio? In certe situazioni anch’io me lo sono domandato. Quando chiedo ‘Dio dove sei’? mi sento risuonare ‘E tu dove sei’? Dov’è l’uomo? È facile protestare perché le chiese sono chiuse, però quando hai la possibilità di frequentarle fai tutt’altro.  Dio c’è, sempre. Ma dov’è l’uomo? C’è un libretto molto bello di Martin Buber, Il cammino dell’uomo, che affronta proprio questa domanda: dove sei? dove ti trovi? È questa la sfida: vedere dove sono io di fronte a Dio. Noi uomini ci siamo allontanati da Dio e adesso siamo smarriti di fronte a questa pandemia imprevedibile. C’è stato qualcuno che l’aveva prevista? No, eppure a fine 2020 avremo ancora tanti contafavole che verranno a farci le previsioni o gli oroscopi. Chiediamoci: in chi abbiamo posto la nostra fiducia? Io penso che Dio sia qui, Dio con noi, l’Emanuele”. 

Valerio Lessi

Sono i primi nativi digitali. Sono cresciuti e crescono tra consolle e tastiere di ogni device elettronico. Sono multitasking, si informano, giocano, stanno in relazione tra loro postando e navigando costantemente in rete e sui social. Sono la generazione Z e sono entrati senza difficoltà nella scuola agile. Quella smart e da remoto, dei tempi di Covid-19.

È quanto accade ogni giorno nei poli per l'infanzia e scolastici pubblici-paritari di RiminiRiccioneMisano e San Marino, del consorzio di opere educative "EDUCO – Education Company". La prima filiera italiana di educazione e formazione, da nidi d'infanzia fino a Università e ingresso nel mondo del lavoro, creata a novembre dalla comune collaborazione di tre storie, identità e esperienze. Quelle di "Service Web Cooperativa Sociale Onlus" "Fondazione Karis" e "Fondazione Unicampus San Pellegrino".

Ogni giorno le loro aule virtuali entrano nelle case di più di 1.500 famiglie del territorio. Lo fanno grazie all'impegno e lavoro quotidiano di oltre 300 persone, tra docenti e personale amministrativo. Il normale programma didattico continua: lezioni live, veri voti e valutazioni, con compiti in classe, quelli a casa, ricerche e lavori gruppo. Mentre sono stati caricati sulle piattaforme web più di 500 contenuti video con tutorial, giochi, musica e canto, lingua inglese, per i più piccoli.

Un'operazione di migrazione in rete, riuscita grazie al patrimonio d'esperienze didattiche on line delle tre scuole. Per esempio, i licei Karis hanno avviato da gennaio il progetto scuola 4.0, con aule che integrano le tecnologie avanzate nella aule della Comasca. Gli studenti del linguistico San Pellegrino studiano e approfondiscono da sempre le lingue con docenti e studenti di altri Paesi. E tutte le famiglie sono sempre in contatto, già dal nido d'infanzia con le scuole grazie al registro elettronico e alle comunicazioni dei docenti.

 E per rispondere ai bisogni dei bambini in età prescolare, il loro veicolo di conoscenza primario sono e rimangono corpo, braccia, occhi, contatto, oggi inevitabilmente assenti, nasce da "Service Web Cooperativa Sociale Onlus": "Contigo". Equipe di professionisti multidisciplinare (psicologa infantile, pediatra, logopedista, nutrizionista, pedagogista), dedicata al sostegno delle famiglie e delle loro problematiche, create da questo prolungato periodo di vita "casalinga" con figli molto piccoli.

Ma per "EDUCO – Education Company" questa è sola una parte della risposta, per quanto importante, alla sfida educativa che la pandemia pone alla comunità educante, alla scuola: "Rispondere all'imprevedibile e all'inaspettato senza fermarsi è segnale importante. Mantenere costante la didattica, continuare con efficacia la didattica, misurare la collaborazione profonda delle famiglie, la capacità di tutti gli studenti e docenti a entrare in una dimensione nuova è certo molto positivo. Però è una risposta 'tecnica'. Utilizzo di strumenti che non possono essere, non sono, il fine della scuola, ma solo il mezzo per gestire bene l'emergenza che la realtà ci butta addosso", spiegano Stefano Arduini di "Fondazione Unicampus San Pellegrino", Linda Gemmani di "Cooperativa Service Web" e Stefano Casalboni, direttore "Karis". Rispettivamente presidente e vicepresidenti "Educo".

"La vera posta in gioco è un'altra. La provocazione, senza precedenti nella storia, di ciò che sta accadendo a tutti noi, chiede a una comunità educante risposte ben più alte della sola migrazione on line. Adulti e educatori devono spiegare a bambini, adolescenti, ragazzi cosa è successo. Vivere il presente, dentro questa circostanza provocante con un'ipotesi positiva, per poi prepararli a un domani, speriamo vicino, dove molto, se non tutto, sarà diverso dal passato. A soli due mesi fa – continuano Arduini, Gemmani e Casalboni.

"La scuola è il luogo dove si vive il presente, s'impara dal passato e si costruisce il domani. Il luogo dove si gettano insieme le fondamenta per la ricostruzione e ripartenza di tutto il nostro corpo sociale. Un compito a cui storie, tradizioni, identità, proposte educative del nostro consorzio non intendono sottarsi - concludono Arduini, Gemmani e Casalboni - la nostra comunità educante può essere ancora tale solo se insieme a famiglie, docenti, studenti, elabora un nuovo modo di essere responsabile di ciò che rimarrà fondamentale: il bene comune, Non ci sono scorciatoie se vogliamo essere ancora il luogo dove si educa alla piena espressione delle proprie potenzialità. Per continuare a offrire a ragazze e ragazzi le competenze e la consapevolezza di sé stessi necessari a diventare i liberi e consapevoli protagonisti della loro vita. Soprattutto, della loro umanità".

Il sindaco di Rimini Andra Gnassi ha rilasciato la seguente dihciarazione: "Rimini, la provincia e i suoi comuni hanno il coraggio e si assumono la responsabilità di applicare il nuovo provvedimento richiesto al Ministro della salute e al presidente Bonaccini, che di fatto conferma le misure restrittive di un'ordinanza specifica e rigorosa. Il messaggio è chiaro: non molliamo proprio ora ma stringiamo i denti ancora per alcuni giorni. Non è stato conquistato ancora nulla. Per questo, a Rimini, Pasqua e Pasquetta non saranno i giorni delle gite e delle passeggiate. Se oggi c'è una speranza, tradirla e vanificarla ora sarebbe un disastro. Anche per le attività economiche e produttive che vedrebbero annullati sacrifici e chiusure. La speranza, la luce, sarà più forte se rispetteremo i comportamenti e le disposizioni dure che ci siamo dati. Ho ricevuto messaggi, dialogato con cittadini famiglie, lavoratori, imprese. Siamo pieni di apprensioni. Domande. Dobbiamo essere né angosciati né tranquilli, ma lucidi e determinati. Anche nel rispetto della più forte ed efficace misura scientificamente provata contro il virus: evitare contatti e relazioni. E lo dico con chiarezza: non ci sarà misura del presidente del Consiglio, della Regione o di un sindaco che tenga se ognuno di noi non osserva le misure. Non ci può essere un carabiniere, un poliziotto, un vigile per ogni persona, per ogni italiano o riminese. È vero che l'indice del contagio per ora si è attenuato rispetto al picco, ma i contagi aumentano e gli ospedali che hanno retto fin ora sono pieni e non infiniti. Questa è la realtà.

Dicevo della speranza e apro una parentesi sul turismo. Il turismo, in Italia, è sempre stato nominato e evocato per la sua importanza ma poi, nel concreto, non ha mai potuto contare su politiche industriali analoghe a quelle di altri settori. Questo choc traumatico, questa "bomba atomica invisibile" è caduta sulle nostre vite e sulle nostre imprese. E ha colpito e colpirà al cuore il turismo: perché è quel comparto unico che è basato sullo spostamento della gente, sullo stare insieme sulle relazioni sociali, e quel settore che "importa" persone e non esporta merci. Allora si prenda questo per fare e adottare per il turismo quello che non si è mai nella realtà fatto: una politica industriale strutturata a corto, medio, lungo periodo. L'Italia e l'Europa.

Come detto Il turismo è, più degli altri comparti industriali, colpito al cuore da questo virus perché lavora sulle persone che si 'importano', sulle relazioni sociali. E il Covid 19, abbiamo visto, stiamo vedendo, incide negativamente proprio sulle relazioni tra persone. Alla fine dei conti, se questo non è il momento di uscirne tutti assieme con una vera politica industriale strategica, davvero non so quale e quando potrà mai essere il momento.

Questa mattina ho parlato personalmente con il Ministro al Turismo, Dario Franceschini. Con lui al fianco, Regioni, Comuni, Anci, chiederanno oltre al 'Cura Italia' che prevede varie misure, una misura ad hoc, un provvedimento straordinario Turismo Italia. Un provvedimento per il comparto turistico, che si caratterizzerà per una fortissima immissione di liquidità per sostenere prima di tutto la domanda. 1 MILIARDO subito di euro, immesso rapidamente nel brevissimo periodo, cioè ora, intanto per attuare una 'Card Turismo' in grado di dare a ogni famiglia un bonus di 500 euro per trascorrere la vacanza negli alberghi, negli stabilimenti balneari, nelle strutture dell'ospitalità italiane, da usare nell'arco di un anno. Per città come Rimini, che hanno investito e stanno investendo sulla connessione mare/cultura, è un provvedimento fondamentale per alimentare l'intera filiera, dal balneare alla città d'arte e della cultura.

Sul breve periodo si chiede al Governo un programma che potremmo sintetizzare in specifici punti: sostegno ai lavoratori stagionali e cassa integrazione in deroga estesa anche al comparto turistico; proroga al 2021 dei pagamenti, sospensione al 2021 del versamento delle imposte e dei mutui per le imprese; rilancio degli investimenti in opere pubbliche strategiche; strumenti finanziari per la riqualificazione e l'innovazione delle strutture ricettive e turistiche. Queste, insieme alla Card Turismo, le misure di breve periodo da domani. Nel giro dei prossimi giorni dall'Italia dovrà partire la proposta all'Europa, affinché si sviluppi una sorta di piano straordinario, perché il turismo diventi asset strategico europeo su cui far convergere misure e risorse - al pari e oggi vorrei persino di dire più - di settori nei quali le misure esistono da anni.

L'Italia dovrà essere protagonista di questa nuova politica industriale del turismo in Europa. Un continente che o vive di relazioni tra persone o non esisterà più nei fatti. Un programma Europeo che sostenga l'idea stessa di movimento e relazioni senza confini tra persone, che è cardine dell'essere europei e sostenga questo comparto industriale, fatto da milioni di lavoratori, altrettante imprese, opere pubbliche e finanziamenti privati.

Fra gli albergatori riminesi c’è chi ha cominciato a pensare a come riorganizzare l’hotel per il dopo Coronavirus, senza aspettare che arrivino le indicazioni ufficiali. Lui, Fabrizio Fabbri, titolare dell’Up Hotel, si schermisce: “Faccio questo mestiere solo da quattro anni, credo che ci siano altri più bravi ed esperti di me che possano parlare”. In realtà è probabilmente uno dei pochi ad aver preso il toro per le corna e ad aver immaginato un’estate di probabile convivenza con il Coronavirus. “Se poi le misure che abbiamo immaginato risulteranno comunque insufficienti per poter tenere aperto, ne prenderemo atto”, osserva Fabbri.

Il cambiamento dell’Hotel comincia dal ricevimento. Il cliente che arriva potrà eseguire il check in da solo tramite un dispositivo elettronico.

Per la pulizia delle camere l’albergo ha la prassi di coinvolgere il personale in periodici corsi di formazione per imparare le ultime tecniche. “Un corso l’abbiamo concluso prima che arrivasse questa emergenza. – spiega Fabbri – Abbiamo comunque deciso di introdurre una novità: la sanificazione con una macchina a vapore. Rispetto ad altri sistemi basati sull’azoto o sull’ozono, ha il vantaggio di essere più veloce e quindi economicamente anche più sostenibile. Quando gli addetti hanno terminato la consueta pulizia della camera, azionano la macchina che diffonde con il vapore un prodotto sanificatore che si possa su tutte le superfici”. Nella camera saranno eliminati tutti i bicchieri in vetro e sostituiti da bicchieri di carta monouso coperti dall’involucro. Anche i cartelli di carta con le indicazioni sono sostituiti con un QR code, leggibile dal telefonino, che porta ad una pagina di informazioni.

Capitolo altrettanto importante è quello delle colazioni. Le alzate, ovvero gli espositori con i vari prodotti, saranno coperti da boules che si aprono a metà. All’interno non vi saranno, per esempio, le varie torte da tagliare, ma fette già pronte ricoperte di carta. “L’obiettivo è consentire a ciascun cliente di venire a contatto esclusivamente con il cibo che lui stesso poi consuma”. Saranno introdotti per marmellate e altri prodotti simili i dispenser che con una semplice girata rilasciano la giusta quantità. Il pane non sarà più tagliabili ma solo in confezioni monouso. Bicchieri e tazzine del bar rigorosamente in carta usa e getta. All’entrata della sala saranno installati i dispenser per il gel di pulizia delle mani. L’Up Hotel offre esclusivamente pernottamento e prima colazione, e quindi non ha il problema dei pranzi e delle cene.

Ovviamente non esisteva un manuale da cui attingere tutti questi accorgimenti. “Ci siamo basati sul buon senso, abbiamo pensato a mediare tra la voglia di andare in vacanza e l’esigenza di sicurezza delle persone”.

L’attività di queste settimane non è stata rivolta unicamente a studiare l’hotel in formato post coronavirus. “Abbiamo curato la comunicazione con i nostri clienti. - racconta Fabbri – Li abbiamo contattati tutti personalmente o per telefono o per e-mail. Abbiamo chiesto loro come stavano vivendo questa emergenza e abbiamo assicurato quanti avevano già prenotato di sentirsi liberi di disdire perché non ci sarebbe stata alcuna penale. Tutti ci hanno detto di avere un gran desiderio di ritorno alla normalità. Per cui penso che se ci saranno le condizioni, i nostri clienti italiani torneranno sicuramente. In questi giorni ho inoltre inviato una newsletter alla nostra mailing list per informare tutti che stiamo lavorando per rendere possibile il loro soggiorno”.

Il titolare dell’Up Hotel è consapevole come la situazione si in continua evoluzione, e ciò che è vero oggi potrebbe non esserlo domani. “Al momento – dice – i costi di questi cambiamenti sono sostenibili, anche se vanno ad aggiungersi al grosso investimento che abbiamo compiuto quattro anni fa. Non sarà più sostenibile se ci obbligheranno a non fare più il buffet ma un menù a la carte per tutti gli ospiti, con la necessità quindi di una persona che porta ad ogni ospite la sua colazione. In quel caso avremmo problemi perché i nostri margini sono bassi e il maggior costo è dato dal personale. Dovessi aggiungere due dipendenti, mi converrebbe restare chiuso”.

Da diversi giorni sul ponte della Resistenza a San Giuliano Mare di Rimini, nel portocanale dedicato al Santo, sventolano due stendardi che rappresentano "Sant'Antonio nell'atto della predica ai pesci" avvenuta in questo luogo nel 1222.      
 
L'Associazione Ponte dei Miracoli, con questo atto, affida la Città di Rimini e il Mondo intero al Santo dei Miracoli chiedendo la fine dalla terribile pandemia del Coronavirus. "Sant'Antonio- siega l'associazione - è Santo Protettore di Rimini come si evince dal Santino del XVIII secolo conservato alla Biblioteca Gambalunga e dalla Pala del 1611 di Cosimo Piazza "La Trinità e i Santi Protettori di Rimini".

Se l’ospitalità romagnola è un abbraccio, che ne sarà ai tempi del Coronavirus? È la domanda che circola insistente fra gli albergatori della Riviera. E non è una domanda retorica. L’attenzione comincia ad essere puntata su quella che è stata battezzata la “Fase 2”, cioè le attività che progressivamente riaprono con il virus che resta in circolazione e che obbliga a mantenere qualche forma di protezione. La prima domanda è sulla data di inizio della Fase 2. Dalle ultime dichiarazioni del capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, si era capito che il lockdown potrebbe durare fino a metà maggio. Poi le dichiarazioni sono state smentite, andando ad alimentare il clima di incertezza che vivono gli operatori. 

“La prima questione che gli hotel della Riviera dovranno dirimere – osserva Mauro Santinato di Teamwork – è se aprire o restare chiusi. Se la riapertura degli hotel ai turisti sarà consentita solo con il rispetto di alcune prescrizioni, quante imprese alberghiere saranno in grado di avere una gestione sostenibile? Tengo d’occhio la situazione in Cina: se anche da noi sarà chiesto di misurare la temperatura ad un cliente che entra nel ristorante, significa che il gestore dovrà pagare un dipendente solo per questo nuovo lavoro”. 

Il 16 aprile Temawork terrà un webinar con la partecipazione di una ventina di esperti per immaginare il futuro degli hotel dopo il Coronavirus. Nessuno sa al momento quali saranno le prescrizioni, ma gli aspetti dell’hotellerie nostrana che potrebbero essere rivisti sono tanti e tutti gli albergatori stanno provando a immaginarseli: la sala da pranzo con i tavoli vicini uno all’altro, il buffet, la pulizia delle camere, la gestione degli spazi comuni. Magari anche l’uso delle mascherine per il personale e per i clienti? “Purtroppo – dice abbastanza sconsolata Patrizia Rinaldis, presidente di Federalberghi di Rimini – nessuno è in grado di fornire risposte certe. Le autorità sono al momento giustamente preoccupate di contenere il contagio ma gli aspetti economici della crisi sono fermi al palo. Mentre bisognerebbe procedere parallelamente nell’uno e nell’altro verso. Abbiamo bisogno di sapere in anticipo quali sono le regole a cui sottostare nel momento in cui potremo riaprire le nostre attività. Dobbiamo ridurre il numero delle persone ospitate? Dobbiamo eliminare i buffet? Dovremo limitarci a fare pernottamento e prima colazione? Senza l’indicazione di regole precise è impossibile fare qualsiasi programmazione”. E la programmazione non riguarda solo i gestori di alberghi, ma tutta la filiera legata al turismo che in una città come Rimini vuole dire più della metà dell’economia. C’è poi un altro aspetto, ancora più problematico, che impensierisce gli albergatori. Cosa succederà se un cliente si dovesse ammalare durante il soggiorno? Sarà chiuso l’albergo, come quando viene riscontrata una carenza igienica? E con quali conseguenze sul piano dell’immagine?

Se lo chiede anche Marina Pasquini, titolare dell’Hotel Belvedere di Riccione, numero uno  nelle classifiche di Tripadvisor. Sulla questione di fondo, aprire o tenere chiuso, Pasquini è arrivata già alle conclusioni. “Dipende dalla natura delle prescrizioni che verranno decise. Se dovesse essere eliminata ogni forma di socialità, che cosa ci resterei a fare io che da anni presento la mia ospitalità come un abbraccio? Nella proposta del mio hotel sono fondamentali i momenti di festa legati al cibo, dal buffet all’aperitivo in piscina, dal barbecue in campagna agli street food party. Ospito i ciclisti, per loro è fondamentale fare vita di gruppo, se non la possono fare viene a meno la ragione del loro soggiorno. Se tutte queste forme di socialità non possono più accadere, divento un letto con belle lenzuola. Non è il mio mestiere, preferisco restare chiusa”. Pasquini è molto decisa, ritiene che il suo albergo possa restare aperto solo quando ci sarà il vaccino o comunque quando ci si potrà muovere liberamente. “Potrei avere – aggiunge – tante idee per tenere comunque aperto ma non è ciò che la clientela si aspetta da me. Al Belvedere vengono perché sanno di trovare un certo clima, certi servizi, una certa vacanza. Se mi riducessi a vendere le camere, i miei clienti mi abbandonerebbero”. La titolare del Belvedere fa l’esempio delle navi da crociera, che in questo momento sono bloccate: “Io sono come una nave da crociera, quando un cliente entra in albergo sa che ad ogni momento succede qualcosa”. Anche Pasquini è in attesa di sapere quali saranno le prescrizione ma avverte: “Spero che tutti saremo convocati a un tavolo, insieme all’Asl e alle autorità, in modo da poter fare presente quali sono le nostre esigenze. Se ci saranno le condizioni per aprire, aprirò, altrimenti aspetto”. Ed anche ai clienti che scrivono per prenotare ad agosto, risponde che ancora non sa se sarà aperta.

E sulla spiaggia? “Se dovremo distanziare maggiormente gli ombrelloni, non c’è problema. – assicura Mauro Vanni, presidente della cooperativa bagnini – Già adesso la distanza è garantita, ma il prevedibile calo di presenze ci consentirà di aprire meno ombrelloni. I nostri esercizi sono all’aria aperta e quindi in qualche modo saremo avvantaggiati rispetto ai locali al chiuso nel garantire le norme di sicurezza”. Vedremo bagnini e turisti con la mascherina? “Eh no, se ci sarà l’obbligo della mascherina il turismo non ripartirà. La gente non si sposta se poi deve vivere in un ambiente che gli ricorda il pericolo del contagio”. 

L’idea di fondo è che la questione del sacro non sia secondaria per una lettura completa di Federico Fellini e della sua opera cinematografica. Parliamo dell’idea che stava alla base del convegno che si sarebbe dovuto tenere nei giorni scorsi fra Rimini e Roma e che, a causa della pandemia in atto, è stato annullato. Fra gli effetti positivi di tale incidente di percorso c’è che il convegno è stato sostituito dalla stampa immediata degli atti (Fellini e il sacro, Libreria Ateneo Salesiano) dove, a cura di Davide Bagnaresi, Guido Benzi e Renato Butera, sono riportati tutti i contributi che sarebbero stati presentati nei due simposi. 

Il volume si apre con una prefazione del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi che non è di circostanza ma contiene notizie, molte delle quali inedite. Lambiasi informa che dalla consultazione degli archivi della diocesi non sono risultate evidenze di rapporti fra Fellini e la Chiesa di Rimini. Come valutare allora l’episodio della visita al vecchio Arcivescovo di Rimini dopo l’uscita de La dolce vita? Il regista ne parlò nel 1989 in una intervista al gesuita padre Virgilio Fantuzzi per la Civiltà Cattolica. Fellini raccontò di un vecchietto un po’ confuso, che non aveva capito chi era, e che ebbe un malore quando infine lo comprese.  «L’aneddoto – scrive Lambiasi – rimane una di quelle scenette di gusto felliniano in cui il regista affabula e sovrappone suggestioni e memorie». A Rimini non c’è mai stato un Arcivescovo e ai tempi della Dolce Vita era vescovo Emilio Biancheri, che aveva 58 anni ed era “da tutti ricordato per la grande spiritualità, arguzia, bonomia e spirito di dialogo, anche con persone lontane dalla Chiesa». Il ricordo felliniano rimanda probabilmente alla figura di monsignor Vincenzo Scozzoli che Fellini, «da bambino, incontrò già anziano − ma non proprio “confuso” − in occasione della cresima (20 maggio 1929) o di qualche cerimonia».

La ricerca negli archivi è stata davvero approfondita perché il vescovo ha rintracciato la Lettera quaresimale del 1960 scritta da Biancheri dove forse si può rinvenire una eco delle polemiche sollevate dall’Osservatore Romano a proposito del film. L’allora vescovo di Rimini metteva in guardia su alcuni pericoli morali e alludeva alla «stampa specialmente illustrata, ai films, ai divertimenti, alle mode estive che ostentano saggio di autentica follia oltre che di aggressione alla sanità morale». Più avanti ancora proponeva questa riflessione: «Mettere a fuoco le idee-chiave che danno un senso e valore alla vita cristianamente intesa, vissuta secondo i disegni di Dio nel tempo e nell’eternità. La mancanza di queste idee-chiave lascia nelle menti vuoti paurosi. Per colmarli, si cercano surrogati di idee impazzite, esaltazione di istinti, materialismo completo». Commenta Lambiasi: «Non sappiamo se Biancheri abbia mai visto il film La dolce vita. Tuttavia queste parole sono assai vicine alla sottesa denuncia di vuoto e di ipocrisia che molti autorevoli commentatori − cattolici e non − hanno positivamente intravisto nel film di Fellini».

Sistemati i conti con il controverso aneddoto dell’Arcivescovo, Lambiasi rivela alcuni curiosi particolari relativi alla degenza di Fellini all’Ospedale Infermi dopo l’ictus che lo prese quando era ospite del Grand Hotel. Il regista ricevette un mazzo di fiori dalla rockstar Madonna e lui volle che fossero portati all’immagine della Vergine che si trova nel reparto di medicina. Il cappellano don Ferruccio Cappuccini regalò a Giulietta Masina un rosario di plastica bianca, di quelli in uso fra i malati. «È proprio quella corona che Giulietta tiene in mano e con cui saluta teneramente il feretro di Fellini il giorno del suo funerale, come si ricorda nella foto che è rimbalzata sulla stampa di tutto il mondo».

Il libro è ricco di contributi, che è impossibile riassumere in un articolo. Ci soffermiamo su quello del biblista don Guido Benzi che si chiede come mai Fellini non abbia attinto alle fonti evangeliche come fecero gli amici Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini. «La lontananza di Fellini dal testo sacro, condivisa da gran parte del panorama culturale italiano, affondava le sue radici nella formazione scolastica del giovane Fellini: catechesi dottrinale e moralistica, pietà popolare intrisa di devozionalismo, cultura classica ed epica condita della roboante “romanità” del ventennio».

Benzi passa comunque in rassegna tutte le citazioni bibliche, a volte davvero minimali, presenti nei film del Maestro. Non è questo l’aspetto più interessante del suo contributo che è invece rintracciabile nella proposta di equiparare il rapporto con le fonti evangeliche con l’atteggiamento che Fellini ebbe con il neorealismo. «Non una dottrina, non una scuola di pensiero da citare con rigore, non una codifica di stili, ma un modo di guardare alla realtà della vita».

Per documentare questa interpretazione, don Benzi dà voce allo stesso Fellini. Ecco una citazione: «Per me il Mistero è quello dell’uomo, quello delle grandi linee irrazionali della sua vita spirituale, l’Amore, la Salvezza, la Redenzione, l’Incarnazione. Al centro dei successivi spessori della realtà per me si trova Dio, la chiave del mistero […]. Nel mondo vi sono più Zampanò che “ladri di biciclette” e la storia di un uomo che scopre il Prossimo è importante e reale come la storia di uno sciopero». Viene da pensare, aggiungiamo noi, al misterioso uomo che ne Le notti di Cabiria porta gli aiuti ai derelitti che vivevano nelle grotte. 

Ed ancora, una risposta al gesuita svizzero Charles Reinert: «Nello sviluppo di questi temi profondamente umani e comuni, mi trovo spesso di fronte a sofferenze e a sventure che superano i limiti della nostra sopportazione. È allora che sorge l’intuizione e la fede nei valori che trascendono la nostra natura. Non bastano più il grande mare e il cielo lontano che amo nei miei film: oltre il mare e oltre il cielo, sia pure attraverso l’urto di un’angoscia o la dolcezza di una lacrima, è intravisto Dio, il suo amore, la sua grazia, non tanto come scatto di fede teologica, ma come profonda esigenza d’anima».

«Sulla scorta, dunque, di queste intuizioni, - conclude don Benzi - possiamo allora cercare di vedere quanto le Scritture e soprattutto il Vangelo abbiano costituito lo spartito sommerso sul quale Fellini ha disegnato icone vive e reali». Il Beati i miti di Gesù lo si può rintracciare in Gelsomina che scopre il bambino gravemente handicappato, sottratto ad ogni contatto col mondo ne La Strada, o la ragazzina storpia de Il Bidone. La rappresentazione delle prostitute fa venire in mente I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio. Giulietta Masina rivelò in una intervista: «Un giorno Fellini mi diede la chiave del personaggio […]. Cabiria, mi disse, è una donna pulita in un mondo ributtante».

Disse Fellini a Josè-Luis de Vilallonga: «Sono cristiano. Credo alla necessità di Dio. Semplicemente, per il fatto che credo nell’uomo. E Dio è l’amore dell’uomo […]. E poi, c’è Gesù Cristo, che diavolo! Il personaggio più favoloso che sia esistito nella storia dell’umanità».

Il destino del turismo, i problemi delle piccole industrie meccaniche, l’emergenza delle scuole paritarie, sono i temi riecheggiati con forza nella video chat promossa dalla Compagnia delle Opere dell’Emilia Romagna alla quale hanno partecipato ben 300 imprenditori. Ad ascoltare il settimanale raduno di #fareinsieme anche il presidente della Regione, Stefano Bonaccini. 

“Il turismo è stato il primo settore ad essere colpito da questa crisi e sarà quello che farà più fatica a ripartire. Proprio questa circostanza evidenzia ancora una volta come l’industria del turismo sia vitale per l’intera economia italiana”, ha osservato Laura Amedei, che insieme al marito gestisce due alberghi uno a Riccione, l’altro a Salsomaggiore Terme. Amedei ha avuto la plastica evidenza dello tsunami in arrivo il 23 febbraio quando l’hotel di Salsomaggiore, pieno, si è velocemente svuotato. 

Al presidente Bonaccini ha presentato le questioni sul tappeto. Innanzitutto la liquidità delle aziende: non solo per pagare gli stipendi o i fornitori ma anche per poter continuare ad investire.  Gli alberghi vanno riorganizzati e questo ha dei costi: la sanificazione e un modo nuovo di eseguire le pulizie che tenga conto della prevenzione del contagio; da rivedere anche il buffet delle colazioni, le camere, da ripensare gli spazi comuni.  È sbagliato pensare che sia sufficiente la fine dell’emergenza sanitaria per poter ripartire. Poiché è in corso la trattativa sui fondi europei, la Regione si attivi perché il turismo sia inserito negli asset principali di finanziamento. Al presidente della Regione è stato chiesto anche di rivedere la comunicazione e la promozione turistica. C’è da mettere in campo un piano da subito, rimandare questo lavoro alla fine della crisi vuol dire far perdere anche quel poco che la stagione estiva ci potrà dare. Il gruppo di lavoro sul turismo all’interno della Cdo regionale sta preparando anche alcuni emendamenti al decreto Cura Italia.  Si chiede una maggiore tutela dei lavoratori attualmente in forza e tutele per quelli che ancora non sono stati assunti perché stagionali; possibilità di ricontrattare gli affitti accompagnati da sgravi sull’IMU per i proprietari; istituire un bonus a sostegno delle vacanze in Italia. 

David Bracciale, titolare di una piccola azienda metalmeccanica, ha documentato i preoccupanti scenari del settore. Con un gruppo di colleghi si è confrontato con Giovanni Gemmani, presidente di Scm, per verificare come vede lo scenario un’azienda leader. Previsioni poi confermate anche dal confronto con alcuni manager americani. E la valutazione è che non se ne esce a breve, la crisi durerà almeno cinque sei mesi, superata l’emergenza ci saranno i contagi di ritorno con la conseguente chiusura delle frontiere, bisognerà garantire la sicurezza sul lavoro per i dipendenti che tornano in azienda in una situazione che rimane di rischio. 

Ciò che Bracciale soprattutto teme è una prossima cascata di insoluti. “Nella mia azienda – racconta – non ho potuto consegnare il 30% del fatturato di marzo, alcuni clienti stanno posticipando a maggio o annullando parte degli ordini per marzo e aprile, già un cliente non è riuscito a pagare”. Insomma, se i clienti smetteranno di pagare le piccole e medie aziende, la crisi di liquidità diventerà drammatica.  “Adesso siamo chiusi da lunedì e saremo fermi tutta la prossima settimana. Anche potendo lavorare sono bloccato dai miei fornitori che hanno chiuso e quando si ripartirà, spero il 5 aprile, sarà sicuramente un delirio. Ma la certezza non c’è, e questo va ad aumentare il caos, i problemi aziendali e la preoccupazione dei miei collaboratori”.

Davide Poggi, direttore della Cooperativa La Carovana, che gestisce una scuola paritaria a Modena, ha sollevato il preoccupante scenario che riguarda appunto le paritarie. Sono scuole che essenzialmente si reggono sulle rette delle famiglie, e queste non riescono più a pagarle per le ragioni legate alla crisi. “Come faranno le scuole a resistere a questo periodo dove mancano le rette e il sostegno delle famiglie? Come farà questo mondo a sopravvivere a mesi di stop?”, si è chiesto preoccupato. 

"Finché non arresteremo il contagio qualsiasi altra misura è inutile, l'emergenza più grande è quella sanitaria. - ha sostenuto il presidente Bonaccini - Stiamo varando delle misure per aiutare il mondo della meccanica, con liquidità e ammortizzatori sociali. Faremo di tutto per difendere le nostre maestranze, poi sarà la volta di puntare tutto su ricerca ed innovazione”. Sul turismo ha detto: “Non lasceremo gli albergatori della Riviera da soli, lo Stato c'è ed è pronto a fare tutto quello che va fatto".  Conclusione: "Da modenese conosco bene La Carovana e riconosco la funzione essenziale di chi opera in questo senso. Da parte nostra abbiamo attivato un tavolo di lavoro col compito di trovare delle risposte a queste domande nel più breve tempo possibile. Chiaro che non lasceremo indietro nessuno, dal turismo alla meccanica passando per il mondo della scuola. Superiamo l'emergenza sanitaria e rimettiamo in moto la locomotiva Emilia Romagna, insieme".

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