“Potrebbe sembrare che quest’anno la Pasqua non arrivi, che con la quarantena in vigore ci sia anche un prolungamento della quaresima. Invece la Pasqua viene. Cristo è veramente risorto ed è apparso a Simone, recita un antico annuncio pasquale. È vero anche quest’anno”.
Abbiamo, in senso metaforico, bussato alle porte del monastero delle clarisse di Rimini, quella finestra aperta sull’oggi e sull’eterno che si trova nel centro storico di Rimini, in piazzetta San Bernardino. Ad aprirci le porte del suo cuore è la madre abbadessa, suor Nella Letizia. “Nello scrivere gli auguri per la Pasqua ai nostri amici mi sono soffermata su quel ‘veramente’ : Cristo è veramente risorto. Forse anche molti cristiani pensano alla Pasqua non dico come a una favola ma semplicemente come a qualcosa di bello e consolante. Forse non ci crediamo veramente che Cristo è risorto. Siamo così pieni di cose, il cardinal Biffi diceva sazi e disperati, che Cristo morto e risorto non ci sfiora più di tanto. Sono rimasta colpita che quando hanno detto che si chiudevano le chiese c’è stata una rivolta. Ma quando erano aperte, chi le frequentava? Davvero poche persone”.
Quindi, quale coscienza è richiesta in questo tempo?
“Il Signore ci chiama a fare un salto nella fede. Un padre della Chiesa diceva che nelle persecuzioni la Chiesa si fortificava. Poi con Costantino, la Chiesa è diventata statale o parastatale, essere cristiani è diventato un fatto esteriore. Prima eravamo oppressi dalle istituzioni statali, adesso siamo schiavizzati dei nostri piaceri e delle nostre libertà che sono diventate il valore assoluto. Questo ha reso molle la nostra fede, è il pericolo della mondanità che richiama sempre il papa, un rischio che riguarda anche noi religiose.
Questo momento è allora utile per ripensare alla propria vita. Dicevamo sempre: ‘Non ho tempo, non ho tempo’. Adesso il tempo si è dilatato, ci mette davanti alla solitudine, al silenzio. Possiamo allenarci ad abitare questo spazio dilatato, diverso dalla vita frenetica, di corsa, che prima conducevamo”.
Tutti ci sentiamo come in clausura. La vita concreta è cambiata anche per voi che la clausura l’avete scelta?
“Certamente, anche se non come a una famiglia o a una comunità religiosa di vita attiva. Noi siamo state chiamate alla vita claustrale, questa più che una scelta è la nostra risposta alla chiamata. Qualcosa è cambiato, non abbiamo la messa quotidiana, seguiamo in tv quella del papa, non abbiamo il contato con i fedeli. Nella normalità, la nostra chiesa è sempre aperta per la preghiera, c’è sempre gente che viene a pregare con noi. Manca questo contatto con le persone, questa preghiera comunitaria che aiuta anche noi.
Questa situazione ci impone di fare i conti con uno stile di vita più sobrio. C’è una sorella che ha male ad una gamba, di andare al pronto soccorso non se parla neppure. Dobbiamo imparare a convivere con un po’ di dolore, con una maggiore quantità di bisogni. Noi prima ricevevamo tanta Provvidenza dagli amici che ci venivano a trovare: frutta, verdura, carne. Adesso molte persone non possono uscire per venirci a trovare, quindi ci abituiamo a vivere con maggiore sobrietà”.
Oltre la grata del monastero vi è giunta l’eco delle sofferenze che questa pandemia sta provocando?
“Abbiamo perso il contatto fisico, prima le persone venivano in portineria o in chiesa, adesso abbiamo triplicato il contatto telefonico o via e-mail.
Qualcuno che ha perso i propri cari o ha parenti in ospedale ci ha contattato. Abbiamo una sorella fra le clarisse di Bergamo che ha perso il papà e due zii, e adesso lei è positiva. Quando mi chiedono come state, rispondo bene, nel senso che non siamo toccate dal virus, ma non si può star bene quando si sente tanta sofferenza intorno. Senti nella carne la sofferenza dei fratelli, senti tante persone che ti chiamano perché sono alla ricerca di un senso. Qualcuno lo senti proprio smarrito di fronte a questa prova. Ci sono anziani che sono in casa da soli, che non possono vedere i figli, famiglie che devono imparare a vivere insieme. Prima le case erano come alberghi, uno entrava, l’altro usciva, adesso le famiglie con due tre figli, che hanno esigenze diverse, fanno fatica a convivere. Me lo confidava un amico che ha quattro figli e vive un’esperienza di fede dentro un movimento. Mi è venuto da ricordargli quanto diceva il gesuita san Giovanni Berchmans: vita comune, massima penitenza. La vita comune è qualcosa che si impara nel tempo; trovarsi a vivere sempre insieme dal giorno alla notte, anche per una famiglia cristiana, non è così naturale e immediato. Lo vedo anche in noi, la vita comunitaria è anche la fatica del confronto, dello scontro. La vita comune è come la favola dei porcospini di Schopenhauer, bisogna trovare la giusta distanza che ti permette di avere calore e di non ferirti. Bisogna rendersi conto che la nostra umanità ha gli aculei”.
Probabilmente non c’è cristiano che in questo periodo non abbia pregato più del solito. Che valore ha la preghiera?
“Rispondo per quella che è la mia esperienza, non ho la pretesa di insegnare qualcosa. La preghiera è il rapporto con un padre. Noi cristiani abbiamo la grazia di rivolgerci a Dio come a un padre. Non è un’entità superiore, è un padre. Ognuno di noi, in base alla propria esperienza, può avere un’idea positiva o negativa del padre. In realtà, il padre è colui che ti ha dato la vita, che ti dà la sussistenza. In questo tempo ho sentito molto la paternità di Dio, come è descritta dal salmo 54 “getta in lui ogni affanno ed egli ti darà sostegno”, oppure dal salmo 130, “come un bimbo in braccio a sua madre è l’anima mia”. Se metti un bimbo di fronte a un burrone, ha paura del precipizio. Ma se il padre o la madre gli danno la mano non ha paura nemmeno ad affrontare il precipizio. Se sull’orlo del precipizio Dio ci dà la mano, ci sentiamo custoditi, io mi sento custodita. La preghiera è un modo per tendere la mano a Dio, chiedere ‘Signore ci sei? Io cerco di esserci, mi fido’. Credere non è vedere tutto chiaro, è dare la mano a una persona che vede. Dio vede, io non vedo il perché di tutto questo male ma so che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, come dice la Lettera ai Romani”.
Anche voi siete rimaste senza la comunione quotidiana, come avete vissuto questo sacrificio?
“Siamo state una settimana senza, adesso abbiamo la grazia di poterla fare. Ci è stata tolta la messa dalla sera alla mattina, quindi non avevamo le ostie nel tabernacolo. Poi un sacerdote, di sua iniziativa, ce ne ha portato una grande pisside, anche se adesso le stiamo terminando.
Quando siamo rimaste senza ne ho parlato anche al vescovo e lui ha detto che un po’ di digiuno eucaristico ci aiuta a capire l’importanza di questo nutrimento. Quindi in quella settimana seguivano la messa del papa e poi, come da lui indicato, facevamo la comunione spirituale. Alle sorelle dicevo: adesso è ancora più importante fare comunione fra di noi. Questa mattina il papa diceva che saremo giudicati dal nostro rapporto con i poveri. Il Signore non ci chiederà se abbiamo fatto la comunione tutti i giorni ma se abbiamo amato. Adesso noi siamo i poveri gli uni per gli altri, siamo chiamati ad amarci ancora di più. Fare la comunione e non essere in comunione è un controsenso, il papa ce lo dice spesso”.
Il dolore del mondo è il grande scandalo, la ferita sanguinante che porta a chiedersi: dov’è Dio?
“La Pasqua arriva a dirci che il dolore e la morte non sono l’ultima parola nella storia dell’uomo. L’ultima parola la dice la Resurrezione. ‘Io sono la resurrezione la vita, chi crede in me non morirà ma vivrà in eterno’. Bisogna rinfrescarsi non tanto nella religiosità ma nella fede. Occorre chiedere al Signore: aumenta la nostra fede! Dov’è Dio? In certe situazioni anch’io me lo sono domandato. Quando chiedo ‘Dio dove sei’? mi sento risuonare ‘E tu dove sei’? Dov’è l’uomo? È facile protestare perché le chiese sono chiuse, però quando hai la possibilità di frequentarle fai tutt’altro. Dio c’è, sempre. Ma dov’è l’uomo? C’è un libretto molto bello di Martin Buber, Il cammino dell’uomo, che affronta proprio questa domanda: dove sei? dove ti trovi? È questa la sfida: vedere dove sono io di fronte a Dio. Noi uomini ci siamo allontanati da Dio e adesso siamo smarriti di fronte a questa pandemia imprevedibile. C’è stato qualcuno che l’aveva prevista? No, eppure a fine 2020 avremo ancora tanti contafavole che verranno a farci le previsioni o gli oroscopi. Chiediamoci: in chi abbiamo posto la nostra fiducia? Io penso che Dio sia qui, Dio con noi, l’Emanuele”.
Valerio Lessi