Proviamo a immaginare che a settembre una buona parte delle scuole paritarie e dei servizi educativi ed assistenziali 0-6 anni chiuda i battenti. I bambini e gli studenti che le frequentavano saranno costretti a riversarsi nelle scuole statali. All’emergenza, non ancora terminata, da coronavirus, se ne aggiungerebbe un’altra, un fabbisogno improvviso di scuole e di aule. In Emilia Romagna le scuole paritarie raccolgono circa il 12 per cento della popolazione scolastica, nell’utenza 0-6 anni coprono il 40 per cento della domanda. Una simile eventualità rende più conveniente alle istituzioni pubbliche intervenire per impedire che queste scuole vadano incontro alla chiusura.
Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli appelli, lanciati da tutte le associazioni di categoria del settore. Una petizione lanciata online ha finora raccolto più di 60 mila adesioni: chiede che venga concessa la detraibilità fiscale al 100 per cento delle rette pagate dalle famiglie.
Perché le scuole paritarie sono in pericolo? È presto detto: le scuole sono aziende speciali la cui unica fonte di entrata è costituita dalle rette pagate dai genitori. La crisi ha assottigliato i bilanci famigliari, anche perché non corrisponde al vero la vulgata secondo cui queste scuole sarebbero frequentate solo dai figli dei ceti più abbienti. E se le famiglie non riescono a pagare le rette, le scuole non hanno più la principale fonte di entrata.
“Abbiamo sospeso completamente le rette delle scuole per l’infanzia, – spiega Stefano Casalboni, direttore della Karis Foundation – limitandoci a chiedere un contributo straordinario per le spese generali. Peraltro con le video lezioni noi continuiamo a fare didattica a distanza anche per l’infanzia. Per la scuola primaria abbiamo cercato di andare incontro alle famiglie con un venti per cento in meno. Restano invece inalterate per medie e superiori”.
Se la situazione è critica per ogni ordine di scuola, a restare completamente senza rette sono quindi i servizi per l’infanzia che nella provincia di Rimini ed anche a livello nazionale si sono costituiti in un comitato denominato EduChiAmo. In questi giorni una decina di realtà educative aderenti a tale comitato (Service Web, Il Nido, Babylandia, Centro per l’infanzia Tabata, La Casa delle Emozioni, Konetica, Kids, La foresta incantata, La finestra) ha scritto una lettera al presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, per sollecitarlo ad aprire un tavolo di confronto con nidi e scuole private per definire le modalità di sostegno. Analoga richiesta di incontro era stata presentata nei giorni scorsi a Bonaccini nel corso di una conference call organizzata da Compagnia delle Opere.
“I nostri servizi – si legge nel testo della lettera – sono regolarmente autorizzati al funzionamento, hanno fatto investimenti, hanno costi fissi inderogabili e azzerare le entrate, specie per le piccole realtà di cui il nostro territorio è testimone, rischia di costringere alla chiusura dei servizi, con ripercussioni negative sui tassi di occupazione del settore”.
Questi gestori di nidi e scuole per l’infanzia, temono inoltre di essere anche fra gli ultimi servizi che potranno riaprire, vista l’oggettiva impossibilità di mettere in pratica norme di sicurezza a tutela delle persone, quali la distanza sociale e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale, in virtù della tipologia di utenza verso cui si rivolgono e per la natura relazionale stretta del nostro servizio”.
Le realtà aderenti ad EduChiAmo ricordano a Bonaccini che “Da sempre il territorio emiliano-romagnolo è stato lungimirante nel ritenere essenziale un rapporto pubblico-privato che implementasse la copertura dei servizi in regione, tanto che i servizi privati coprono circa il 40% della domanda nella fascia 0-6. Ora, non intervenire con misure a sostegno di queste potrebbe avere una ricaduta deleteria rispetto allo slogan di sempre della Regione “un nido per tutti”.
“Non vorremmo tornare a pensare – aggiungono - che ci sono servizi di serie A e di serie B e che le famiglie che hanno scelto il privato debbano essere trattate come famiglie autosufficienti e che non hanno diritto all’attenzione del governo e dei nostri amministratori locali”.
Cosa chiedono in concreto? Nella lettera si fanno alcuni esempi: l’implementazione e la ridistribuzione del buono “al nido con la regione”, prevedendo una cifra fissa per tutte le famiglie che mandano bambini ai nidi privati, buoni che potranno essere erogati direttamente ai singoli servizi; ed anche l’inclusione nelle categorie previste per il recupero del credito di imposta sugli affitti.
“Oggi più che mai – osserva Lia Fabbri, di Service Web - sono chiare le motivazioni che muovono le nostre opere, una passione educativa che mai si spegne e il desiderio di sostenere le famiglie sia prendendoci cura dei bambini che accompagnando le famiglie nel loro compito educativo. Questa condizione di “chiusura forzata” ha stimolato la nostra creatività e, grazie alle tecnologie, abbiamo inventato nuove forme per stare vicino alle famiglie, fornendo loro una serie di servizi di consulenza. Noi ci siamo”.