“La didattica a distanza non è peggiore o migliore della didattica in presenza, è diversa”. È il primo punto fermo che fissa Paolo Valentini, direttore scolastico delle scuole Karis e preside dei licei classico e scientifico. “Le dinamiche che accadono e le modalità con cui il docente propone la sua attività didattica – spiega - sono oggettivamente diverse, ci sono aspetti positivi ma anche negativi. Con la Dad sono stati compiuti passi in avanti nel coinvolgimento dei ragazzi, ma abbiamo anche perso aspetti tipici dell’insegnamento, a partire dalla relazione fra docente e studente, che è diversa online. In presenza il docente mentre parla e spiega, osserva e basta un’occhiata per capire come sta seguendo il ragazzo”.
Anche per le scuole Karis la doccia fredda del 5 gennaio, con lo slittamento del ritorno in classe, ha gettato nello sconforto. “Fino a Natale – racconta Valentini – avevamo tentato tutte le strade possibili per non lasciar solo solo ogni studente, raggiungendoli uno a uno. Abbiamo individuato nelle singole classi i bisogni emergenti e cercato di sostenere ogni studente nel miglior modo possibile. Abbiamo utilizzato le modalità in presenza consentite, come i laboratori , abbiamo avuto attenzione che nell’orario del mattino ci fossero momenti di sportello per la ripresa delle attività. Tutto questo lavoro ci ha fatto arrivare a Natale contenti ma stremati. Abbiamo lavorato nel collegio docenti anche durante le vacanze, cosa che di solito non succede, abbiamo dovuto trovarci per riformulare la proposta della presenza prima al 75 e poi al 50 per cento. Avevamo preparato il piano come tutte le scuole, eravamo pronti a tornare. Speravamo di fare gennaio in presenza, in modo che il quadrimestre fosse almeno per metà in presenza. Così non è stato…”.
Cosa cambia fra Dad e presenza?
“Programmare un mese con la Dad o in presenza non è solo in problema di orario, è un problema di prospettiva didattica, di obiettivi da raggiungere. Nello specifico ho maturato un giudizio. Nel fare scuola con i ragazzi adolescenti a casa, il rischio più grave che vedo è che si assopiscano, che si spenga la loro vivacità, che venga meno il desiderio. Questo non dipende dall’assenza di una proposta ma proprio dalla modalità con cui la proposta è veicolatta, non sempre favorevole. Il ragazzo può estraniarsi con la telecamera e il microfono acceso, certo lo può fare anche in presenza ma è chiaro che siamo fatti di carne e di ossa. E la differenza c’è. Noi vediamo ragazzi che fanno fatica a tenere il passo del lavoro richiesto, fanno fatica a vivere lo studio come un momento di ripresa di quello che avviene in classe; allo stesso tempo per fortuna ci sono tanti sprazzi di luce, tanti momenti di positività che accadono perché ci sono due passioni che si incontrano, la passione del docente che propone e del ragazzo che cerca di restare aggrappato alla relazione con la scuola”.
Gli insegnanti cosa fanno per tenere desti l’interesse e il desiderio degli studenti?
“Ognuno di noi sta affrontando nella propria disciplina varie modalità di intervento. Si cerca di fare lezione partendo da un loro interesse o da un lavoro, anche di gruppo, loro affidato. Per esempio, nella lezione di letteratura non è il professore che legge per la prima volta una canto di Dante o un brano di Manzoni, ma l’insegnante invita a leggere il testo a casa e a parlarne insieme nella lezione successiva. Con le classi più alte funziona, mi ha sorpreso, ci sono state scoperte nuove. Un’altra modalità è valorizzare un’opportunità offerta dalla Dad, ovvero far entrare in classe persone che sono a distanza e che farebbero fatica a venire in presenza. Sono intervenuti docenti universitari, ricercatori, giornalisti. Venerdì per esempio, con le quarte e le quinte, ci incontreremo con il giornalista Mattia Ferraresi per una valutazione della situazione americana. Questo è il toccasana? No, anche in questo caso è necessario che ci sia una proposta chiara e un coinvolgimento. Però è bello poter interloquire con una persona che sta a Roma, a Bari o a Londra”.
Spesso di questa situazione viene offerta una lettura drammatica. Una generazione è bruciata, rischiamo di perderla. Condivide questo sguardo pessimista?
“Quando un adulto parla di giovani non può farlo senza esercitare una responsabilità educativa. Certo, la situazione è drammatica, ma ciò che mi preoccupa di taluni commenti è che manca la prospettiva. Gli studenti sono coloro che avvertono di più questa mancanza. Sono però disponibili a muoversi di fronte a una proposta. Per cui la domanda non è Dad o presenza, ma c’è una proposta per i giovani? Qual è la proposta? Leggere che la Dad non funziona getta nello sconforto, perché è ciò che i ragazzi vivono. Se diciamo che non funziona, significa che noi stiamo fallendo. Non sopporto il lamento senza proposta. Non basta analizzare il dramma, bisogna credere in ciò che si propone. Certo che la presenza fa la differenza, lo vediamo quando vengono per i laboratori, fa impressione il sussulto di umanità che i ragazzi esprimono. Quindi, la domanda è sulla proposta che facciamo ai giovani e non solo come fare per uscire meno ammaccati da questa situazione. La pandemia ci porta a interrogarci sulla funzione della scuola, su ciò che occorre fare perché i ragazzi non si assopiscano e non riducano la portata del loro desiderio.
In questo momento va sottolineato che per molti ragazzi la scuola è un ambiente distensivo, dove si allentano le tensioni che vivono nell’ambiente famigliare. È vero anche il contrario, però in questo momento sono in maggiore difficoltà i ragazzi che vivono tensioni nell’ambiente quotidiano”.
A proposito di famiglie, come hanno reagito?
“Le famiglie hanno seguito e hanno compreso tutti i nostri tentativi, hanno condiviso lo scopo. Cioè la scuola non è chiamata solo a evitare il diffondersi della pandemia ma a proporre il bene per i loro figli. Le famiglie riconoscono il valore di quello che stiamo facendo, ci ringraziano. Alcuni genitori si soffermano ad ascoltare le lezioni online e rimangono colpiti, ci segnalano che se vedono il figlio che si distrae, lo riprendono: avessi avuto io queste opportunità! È chiaro che il loro desiderio è che ritornino presto in classe”.
Ci sono stati Flash Mob in piazza, anche a Rimini. Che ne pensa?
“Comprendo la frustrazione, comprendo chi chiede scuola in presenza, è un’esigenza profonda vera, non un capriccio. Il punto è capire che non si tratta di tornare semplicemente alla normalità ma di fare una proposta a tutto tondo. Sta cambiando la società, sta cambiando anche la scuola. Questo non va dimenticato”.
Valerio Lessi