Quand'ero ragazzetto e, ogni sera, Maurizio Costanzo officiava, con sacralità, il suo show - sorta di rito pagano della chiesa catodica cui nessuno sembrava volere rinunciare - sul palco del 'Parioli', teneva banco - pure abbastanza spesso - un simpatico personaggio. Pierino Brunelli, da Montecucco. Teorizzava la 'Magna Romagna', ruspante cuore di un nuovo ordine planetario da lui guidato con la carica - e quale sennò - di Imperatore del Mondo.
In 'sti giorni, in cui in Spagna si sta consumando sempre più duramente lo 'scontro' tra il Governo centrale di Mariano Rajoy e la Generalitat de Catalunya di Carles Puigdemont, lanciata verso una dichiarazione unilaterale di indipendenza - frattura che rischia di diventare insanabile nel Paese e di riverberarsi sull'intera Europa - la 'Magna Romagna' è risbucata fuori dal cassetto delle buffe memorie.
Mentre Lombardia e Veneto hanno già in calendario un referendum per ampliare la propria autonomia e l'Emilia-Romagna ha dato il via libera proprio nelle scorse ore, con il voto in Assemblea regionale, ad un percorso per strappare, anch’essa, maggiore autonomia, la Lega Nord ha lanciato la proposta di una Romagna separata dall'Emilia. Immaginando di porre fine a un 'matrimonio' ultraquarantennale, celebrato ufficialmente il 7 giugno del 1970. Un 'addio' vagheggiato, da tempo, dal Mar-Movimento per l'Autonomia della Romagna e che ora il Carroccio fa proprio, sull'onda del vento separatista che soffia un po' ovunque.
Non so se sia una cosa fattibile. Né se sia saggia o non lo sia affatto. Tantomeno, se abbia buone basi dal punto di vista economico – forse quello da tenere in maggiore considerazione - e da quello storico e sociale. Se permetta, in prospettiva, un 'Rinascimento' romagnolo o, invece, se vada a interrompere irrimediabilmente un ciclo - a guardare gli indicatori - virtuoso.
Non lo so proprio. E chissà cosa potrebbe succedere. D'altronde, quando si scambiano quattro chiacchiere, quando si conciona del più e del meno, con amici o sconosciuti, c'è sempre qualcuno che – prima o poi - la butta là: 'ah, se la Romagna, si tenesse i suoi soldi, solo con il Turismo, sai quanti ne diamo all'Emilia?...' . E qualcun altro che sostituisce al bossiano d'un tempo 'Roma ladrona', un più pacato 'Bologna padrona' come se la città capoluogo di regione fosse una cattiva matrigna che vuole tutto per sè.
A sentire i sostenitori dell'indipendentismo romagnolo - sul Web o al bar - tutto sommato, ci mancherebbe forse qualcosa, senza i 'cugini'? Turismo balneare, dicono, ne abbiamo. Borghi, colline e foreste, aggiungono, pure. Città d'arte, anche. Il comparto ortofrutticolo c'è, quello delle calzature idem, la Welness Valley solo da noi, le macchine per il legno tirano. Un paio di autodromi ben funzionanti (e Valentino che è di Tavullia ma col cuore in Romagna) non ci mancano. La Fiera di Rimini è la seconda in Italia per fatturato e ci son pure due aeroporti: non in buonissima salute, ma ci sono. E poi, insomma, la esse romagnola è tutto un programma; l''inno nazionale', 'Romagna mia' lo conoscono ovunque; il 'lissio' è un marchio di fabbrica e Raoul Casadei il suo profeta.
Se 'loro' hanno i tortellini, noi abbiamo i cappelletti e i passatelli. Per tacere degli strozzapreti. Del Sangiovese, dell'Albana e la Cagnina. E la piada. La P-I-A-D-A. Che, a guardar bene, potrebbe essere, però,- un motivo - se non il motivo - più che valido per una secessione della secessione.
Davvero validissimo. Che si fa, la si mangia sottile alla riminese o più alta e spessa come nelle altre zone 'nordiste' della 'Magna Romagna'? C'è mica troppo da scherzare. Sono due mondi diametralmente opposti. Due distinte filosofie di vita. La piada è una 'roba' seria. Serissima. Ne va dell'identità di un popolo. Altro che Romagna (solatia) e Emilia.
Gianluca Angelini
dal blog Pendolarità