Rimini, il calcio festeggia il suo centenario
Il 2012 è l’anno del centenario del calcio a Rimini, del pallone, come si dice dalle nostre parti. Era infatti il 1912 quando prese di nuovo vita la sezione calcio dell’U.S. Libertas, la polisportiva che comprendeva varie attività come l’atletica, il nuoto, la ginnastica, il ciclismo. Nuovamente perché, già nel 1909, c’era stato un primo tentativo di fondarla, mentre i primi cenni sul “gioco del calcio” risalgono probabilmente al 1906.
E’ comunque dal 1912 che nasce la Libertas Rimini, società dalla quale attraverso varie vicissitudini nel corso dell’ultimo secolo, si arriva ai giorni nostri. La Libertas Rimini, dal punto di vista storico, è quindi l’origine del calcio biancorosso, anche se per arrivare alla Rimini Calcio è necessario introdurre la seconda anima pallonara della città.
Per volontà del regime fascista, nel 1925, nacque la squadra del Dopolavoro Ferroviario che giocava sul campo di via Roma denominato “la scatoletta” e che assieme allo Stadio del Littorio, fu teatro negli anni trenta di accesissimi derby. Al termine della stagione 1938/39, dalla fusione della Libertas e del Dopolavoro Ferroviario nacque la Rimini Calcio che fu ammessa al campionato di serie C.
Ecco perché in questa stagione, i giocatori del Rimini, per festeggiare il centenario, al fianco della classica divisa a scacchi biancorossi (i colori della Libertas), indossano la divisa nera con banda orizzontale biancorossa, la maglia nerocerchiata, come si chiamava a quel tempo la casacca del Dopolavoro Ferroviario. La terza divisa che il Rimini veste in questa stagione è invece una maglia bianca con banda rossa trasversale scelta per ricordare la divisa del 1962, anno del cinquantenario. Anche allora ci furono celebrazioni dell’evento e al Romeo Neri si disputò una storica partita tra le rappresentative nazionali di Italia e Irlanda, incontro finito per 6-0 per gli azzurri con due gol del biancorosso Oltramari.
Il centenario, oltre a un’occasione di festa, deve però essere spunto per riflettere perché, al pallone, si può dare tanta o nulla importanza, ma questa passione ha comunque attraversato la maggior parte di noi e accompagnato la storia della nostra città. Oggi il pallone è diverso, ci bombarda con uno spettacolo dove il personaggio conta quanto la prestazione, e mentre il calcio televisivo scandisce lo show, quello di provincia vissuto allo stadio è agonizzante. Poi c’è il sottobosco di questo sport quello sporco, brutto e cattivo che emerge con scadenza ormai ricorrente portando in superficie debolezze umane più che storie sportive. Se però si prende il pallone e si prova a guardarlo senza la sovrastruttura della modernità globalizzata, si scopre che l’ossigeno per la sopravvivenza si trova proprio al suo interno perché l’anima è rimasta la stessa. L’anima è quella che ancora oggi porta i bambini a mettersi gli scarpini e correre appresso ad un pallone come se all’interno ci fosse una bolla fatta di colori e sapori, come ci fosse una magia che va oltre lo spettacolo da vendere alle telecamere, oltre alle bassezze degli uomini.
L’anno del centenario è il momento per innaffiare i sentimenti, per riscoprire, anche e soprattutto da parte delle istituzioni, il valore sociale dello sport in una società che si mischia ma non si integra. Nella formazione del Rimini di oggi militano undici ragazzi della nostra terra e il settore giovanile biancorosso è un arcobaleno di 450 ragazzini con facce diverse. Il calcio oggi può essere un investimento sulla parte sana di questa passione, sui valori anche educativi del calcio come un microcosmo positivo pulsante della città. L’identità è la chiave, il sentimento, la tradizione, l’humus sul quale coltivare un calcio diverso. Il centenario è l’occasione per una scelta anacronisticamente contemporanea: vivere per sé e con sé, senza un domani che non parta da ieri. Il pallone da noi, come in tante altre città, può essere “solo” questo e il centenario diventa una leva per innalzare la propria singolarità, perché lo show in questo calcio è un altro: è quello che vive dentro la testa. L’onore e l’orgoglio di vivere in questa città, e perché no, lo spirito di appartenenza verso qualcosa che ci unisce.
Francesco Pancari