Le due strade dell’aeroporto di Rimini. La scelta spetta a Gnassi
Dopo aver sentito raccontare di sceicchi arabi e di cordate cinesi, di “veneziani” e di russi, ci rimane la domanda sul perché, ricchi che siano, uno qualsiasi di questi signori dovrebbe portare i propri soldi a Rimini per ripianare un debito di bilancio tanto oneroso e infilarsi in una società che non promette in cambio niente di interessante.
Infatti, se anche il Fellini si assestasse stabilmente intorno al milione di passeggeri, l’aeroporto produrrebbe denaro appena appena sufficiente per pagare le spese della gestione e, diciamo, della manutenzione ordinaria. Come dunque si dovrebbe ripagare l’eventuale investimento di milioni e milioni di euro necessario a chiudere il buco attuale?
Immaginiamo che da diverso tempo ci siano alcuni “addetti al problema” che non pensano ad altro che a trovare una soluzione a questa domanda; e se ci permettiamo la simulazione di un percorso che, certo, alle suddette persone non deve essere sfuggito, è solo per sottolineare il nodo politico cui esso ci conduce.
Quindi, due strade: o il fallimento e la chiusura in breve tempo (dando per scontato che Comune e Provincia non possano tirare fuori dal cappello i milioni che servono) o si riesce a convincere sceicchi e magnati di cui sopra, o altri investitori importanti, che farebbero un affarone ad accollarsi il debito di Aeradria e le quote societarie ad esso corrispondenti.
Nel primo caso, a parte il disonore e senza voler entrare nel merito delle conseguenze sociali che avrebbe un fallimento, ci si potrebbe sempre rivolgere verso una nuova strategia di collegamento della Riviera con il mondo; in primis con una linea diretta, tutta da inventare, con l’aeroporto di Bologna. Un ripiego, forse; di certo l’unica alternativa a ritagliare Rimini dalla cartina e farla andare alla deriva trasformandola in una città off-shore (e in una nuova isola delle rose).
Nel secondo caso il percorso sarebbe quello ordinario in questi casi: un nuovo piano industriale e finanziario e probabilmente una nuova società di gestione (o almeno con una nuova dirigenza), uno scambio di quote e la relativa ricapitalizzazione: ai nuovi soci il compito di mettere i soldi, agli altri…
A questo punto del ragionamento non c’è bisogno di farla tanto lunga. Se si deve convincere un imprenditore a investire diversi milioni in un affare che non rende, occorre che questo “affare” abbia una contropartita diversa e apra un’altra e diversa possibilità di rientrare dell’investimento.
Quale possa essere questo “affare” dipende ovviamente dalle dotazioni che i soci attuali possono mettere in campo, ma, nel nostro caso, tutto si riduce alla solita merce di scambio di cui i Comuni possono disporre: terreni e licenze.
Che poi l’imprenditore o la cordata di imprenditori del caso facciano centri commerciali o grandi alberghi questo non cambia il succo del discorso; solo determinerà il dove e il cosa. Ma la logica è comunque quella del vecchio motore immobiliare: terreno e possibilità di edificare in cambio di investimenti.
E qui si innestano i problemi politici cui abbiamo accennato. Primo: se per salvare l’aeroporto in quanto infrastruttura essenziale per il turismo riminese fossimo costretti a concedere a una qualche compagnia internazionale un enorme albergo da centinaia e centinaia di camere (magari in una colonia dismessa), gli albergatori ne sarebbero comunque contenti? E ancora, accetterebbero di essere messi davanti al fatto compiuto? Ma soprattutto, potrà il sindaco Gnassi avallare una operazione che è tutta contraria all’atteggiamento che ha fin qui tenuto sulla questione urbanistica? A lui forse spetteranno le scelte che decideranno la sorte del Fellini. Una responsabilità che rischia di vederlo rimanere con il cerino in mano.