Martedì 24 settembre ci sarà la prima udienza in Tribunale che deve decidere sul rinvio a giudizio di sedici imputati a proposito della vicenda Tecnopolo. Alla vigilia l’ex assessore Roberto Biagini, che con l’esposto dell’agosto 2015, ha fatto partire l’indagine, ha deciso di vuotare il sacco. Cioè di mettere a disposizione della stampa tutti gli atti dei quali è venuto legittimamente in possesso in quanto persona offesa dalla condotta degli imputati. Avendo chiesto l’accesso agli atti, ai fini di valutare la probabile costituzione di parte civile, si è accorto che l’inchiesta da lui innescata ha prodotto dieci faldoni, tre dei quali relativi alle richieste di misure cautelari (arresti domiciliari) che però sono state respinte.
“Voglio – afferma Biagini – che la cittadinanza sia messa al corrente del sistema inquinato che governava Rimini a proposito di appalti pubblici. Non mi interessano le vicende penali, anzi sarò molto contento se saranno tutti assolti. Dalle carte però emerge un sistema che mi auguro non ci sia più ma che deve essere conosciuto dall’opinione pubblica”.
In effetti di questa inchiesta, che dura da ormai quattro anni, non si è mai saputo molto. Poche notizie trapelate dalla Procura, qualche informazione sommaria fornita da Biagini (anche in commissione consigliare) quando ormai c’era già la richiesta di rinvio a giudizio. Invece, dalle ottocento fotocopie che ha realizzato si apprende che è stata una indagine complessa, che ha usato, oltre all’acquisizione di documenti, anche intercettazioni telefoniche, intercettazioni ambientali, pedinamenti. Biagini con l’accesso agli atti ha potuto constatare che, oltre all’affare Tecnopolo che è nella fase del rinvio a giudizio, sono state stralciate altre tre inchieste: la prima, verosimilmente, visti gli atti, riguarda l’appalto Acqua Arena (la fattispecie è la turbativa d’asta), un’altra conduce a Pesaro e un’altra ancora a Bologna (tentata concussione), perché in questa città si è consumato materialmente il reato. L’avvocato non sa però chi siano gli imputati, a che punto siano queste indagini e cosa abbiano prodotto.
Da un primo sommario esame della documentazione prodotta da Biagini emerge indubbiamente un quadro poco rassicurante sulle modalità di funzionamento della pubblica amministrazione. Al di là del rilievo penale (sul quale dovranno pronunciarsi i giudici), si ha l’impressione che la cosa pubblica sia trattata come cosa privata. “Purtroppo emerge –osserva Biagini - come alcuni dipendenti pubblici trattassero le istituzioni in totale spregio dei doveri di correttezza, di imparzialità, di fedeltà”. L’esposto e la successiva indagine hanno ruotato intorno alla figura di Mirco Ragazzi, un personaggio che entrava e usciva dagli uffici comunali a suo piacimento, e interferiva nell’attività amministrativa. “I dipendenti – afferma Biagini – andavano a riferire a Ragazzi non solo questioni relative agli appalti ma anche altro”.
L’avvocato riferisce che dagli atti emerge come queste interferenze riguardassero non solo gli appalti pubblici, ma anche quelli privati, come ad esempio quelli relativo allo store Conad realizzato in via della Fiera. Le interferenze hanno riguardato anche l’appalto per l’istituito Valgimigli.
Nel caso Tecnopolo (collaudo dell’opera falsificato, secondo l’accusa ) Comune di Rimini e Regione Emilia Romagna sono indicate come parti offese. “Se ci sarà il rinvio a giudizio – sostiene l’avvocato – il Comune di Rimini dovrà costituirsi parte civile. Non deve continuare la copertura omertosa da parte della politica”.