Carceri, Storie da dentro, ma anche da fuori. Perché i detenuti fuori dal carcere tornano a vivere e dentro continuano a morire
La questione delle carceri italiane, e anche a Rimini quindi, è molto semplice. Lo Stato continua a spendere soli 200 euro al giorno a carcerato, per finanziare un sistema che non va e che fa registrare l’80 per cento di recidiva per i detenuti rilasciati. Il 75 per cento se ci si rapporta alla situazione riminese. “Questo significa che su una media di 200 detenuti, quanti se ne possono mediamente registrare ai Casetti di Rimini, di 140 sappiamo già che ritorneranno in carcere entro al massimo tre anni dopo esserne usciti. Il metodo vendicativo non funziona perché non risponde al bisogno dell'uomo”, spiega Giorgio Pieri dell'Associazione Papa Giovanni XXIII.
Lo Stato, invece, di soldi potrebbe spenderne molti meno, perché in realtà il mantenimento di un detenuto non supera i 50 euro quotidiani, convertendosi alla sussidiarietà e investendo in sistemi che funzionano. In Italia ci sono già gli esempi delle CEC (le comunità educanti carcerati) che accompagnano 300 detenuti fuori dalle mura delle case circondariali. Con una recidiva che crolla vertiginosamente all’8 per cento. “A Rimini – spiega Pieri – sono 60 i detenuti non tossicodipendenti che ospitiamo”. Facendo un po’ di conti attorno al circuito riminese lo Stato riesce a risparmiare 12 mila euro (oltre 4 milioni di euro l’anno).
Diverse le realtà sul territorio: Casa Madre del perdono, Casa Madre della riconciliazione, una casa famiglia, abbiamo anche tre centri di lavoro diurni, le cooperative La fraternità e Cieli e terra nuova, la casa Il germoglio e anche don Nevio, il cappellano del carcere, a Sant’Aquilina abita con dei detenuti. “Sono luoghi dove le persone vengono aiutate in maniera integrale. Lo Stato ha dimostrato con le carceri di essere incapace al recupero dei detenuti. Come accade per i tossicodipendenti, che vengono aiutati nelle comunità, dobbiamo iniziare a pensare a percorsi alternativi al carcere anche per i detenuti”.
Ma, tralasciando per ora il fatto che il metodo educativo funziona e il metodo vendicativo non funziona: come fate voi a spendere così tanto meno rispetto al sistema tradizionale?
“Nelle carceri si spende per l’educazione del detenuto 85 centesimi, per il vitto 4,50 euro. Tutto il resto, fino al 200 euro a carcerato, va per l’apparato, fatto dalla polizia penitenziaria, dall’amministrazione, dal direttore, dalla manutenzione, dai servizi. Tutte persone sante, che danno il massimo nel loro lavoro, ma dentro un sistema che non funziona. A pesare sulle spese è lo sbilanciamento sul discorso della sicurezza. Ma dov’è la sicurezza se poi ci sono tutti questi recidivi? Nelle nostre case, invece, su 40 detenuti abbiamo a ‘lavoro’ 30 volontari, persone che gratuitamente accompagnano queste persone fino alla libertà entrandoci in rapporto e riuscendo a conquistarne la fiducia. Perché per i detenuti è molto strana la dinamica della gratuità, libera in loro una domanda”.
Anche Pieri ha una domanda, non la sola. “Senza l’aiuto dello Stato noi non riusciremo per molto a portare avanti l’opera. Fino ad oggi siamo vissuti anche di carità, ma non può funzionare per sempre. Il nostro è un servizio che avrebbe bisogno di una maggiore stabilità e continuità, che solo un aiuto costante da parte della istituzioni può darci”.
Qualcosina si muove, ma neanche questo è definitivo, e altri dieci arriveranno a breve col progetto regionale Acero cofinanziato dalla Provincia. C’è poi una realtà d’oltreoceano cui Pieri guarda con speranza (anzi, è andato proprio a studiarsela): “il progetto Acap delle carceri Brasiliane, un’organizzazione molto simile a quella delle CEC, con una recidiva vicina al 9 per cento. Case per detenuti senza guardie né grate. Lo stato brasiliano ha deciso di convertire a questo sistema 60 vecchie case di detenzione”.
Intanto, invece, anche nel carcere di Rimini la situazione è sempre più grave, scandita da scioperi della fame e atti di autolesionismo. “L’80 per cento dei detenuti assume psicofarmaci, ma la violenza che vivono non è quella delle guardie o dell’educatore che ha poco tempo da dedicare loro. La violenza è la loro consapevolezza che uscendo dovranno rifare quello che facevano prima di essere messi dietro le sbarre. In carcere la persona invece di lavorare a un senso di colpa per il male che ha fatto, alla fine punta il dito contro il sistema. Noi, invece, diamo loro la possibilità di rendersi conto della colpa e di recuperare, proponendo lavori socialmente utili con i disabili, oppure mettendo accanto gli ex spacciatori ai genitori di tossicodipendenti. A fine percorso proviamo a dare loro compiti di responsabilità nelle nostre case e li ci rendiamo contro se la peromanenza da noi è stata utile oppore no. Le persone che incontriamo hanno vissuto quasi tutte violenze familiari, sono state accolte in istituti. Il loro problema principale è nella loro famiglia. A questo si aggiungono esperienze di strada e di carcere. Mettere persone così in carcere può servire per un certo periodo, ma poi bisogna dargli una mano. Bisogna aiutarle a riconoscere il loro vissuto”.
Pieri stima che almeno la metà della popolazione carceraria potrebbe benissimo scontare la pena fuori dalle mura delle case circondariali. “La realtà del carcere non è fatta solo da mafiosi o serial killer. E’ fatta dal 15 per cento di tossicodipendenti, dal 13 per cento di disagiati psichici, dal 38 per cento di persone senza fissa dimora, dal 5 per cento di analfabeti. Quindi, se per qualcuno un po’ di carcere tradizionale comunque ci vuole, ma solo per un certo periodo, più in generale bisogna cambiare rotta. Potrebbe funzionare tutto meglio se i politici invece di fare leggi punitive si mettessero a fare leggi educative, e se lo Stato iniziasse a dare un aiuto economico alla società civile (che se solo fosse messa nelle condizioni economiche giuste potrebbe trovare delle soluzioni al carcere che nemmeno immaginiamo). Noi i detenuti li prenderemmo gratis ma non possiamo dare per carità quello che è dovuto per giustizia, ci diceva don Oreste”.
In conclusione, “un detenuto può cambiare, io l’ho visto. Lo visto anche questo pomeriggio nelle lacrime di gratitudine di una moglie”. Storie da dentro e anche da fuori quindi è il titolo dell’iniziativa prevista per oggi a Rimini, dalle 17 al teatro degli Atti.
Filomena Armentano