Testimonianza di un volontario dalle mura di un carcere
Tra gli interrogativi che più mi assillano, e sono molti, anche dopo anni di volontariato in carcere, il più pesante riguarda quale sorte abbiano avuto e continuino ad avere i molti – troppi – bambini che ho visto dietro le sbarre.
Resto molto impressionata dai bambini reclusi.
La loro immagine dietro le sbarre è un calcio in pieno stomaco.
Al di là del drammatico impatto quotidiano, mi sono sempre chiesta, e continuo a chiedermi, come diventeranno adulte queste creature che hanno come unico punto di riferimento madri avvilite, depresse, incapaci di giocare e di trasmettere loro sicurezza; preoccupate per altri figli che sono fuori, terrorizzate dal pensiero che quelli in carcere con loro possano essere dati in affido o messi in istituto.
In un periodo della vita nel quale i bambini dipendono totalmente dalla mamma, che per loro è “onnipotente”, questi vivono con madri umiliate, costrette alla sudditanza: i bambini lo percepiscono immediatamente e ne soffrono moltissimo.
Quanto profonde e durature saranno per loro le conseguenze del blindo che si chiude, delle sbarre, della promiscuità, della convivenza con donne incattivite o depresse?
Mi trasferisco a Rimini nel 2005 e nel 2006 inizia la mia avventura come volontaria nel Carcere Circondariale “I Casetti”.
Grande strada alberata - Via Covignano - dove nella collina ci sono le più belle ville della città, ma proseguendo si arriva in un punto dove la vita sembra fermarsi, si ingrigisce e all’improvviso la Rimini bene, la capitale del divertimento viene offuscata per lasciare spazio a tristezza, sofferenza e desolazione.
Il carcere di Rimini, nel quale ho seguito un progetto di scolarizzazione, è una struttura degli anni ’70 circa non eccessivamente degradata ma disumana: ha spazi ristretti , soffitti soffocanti; personale sotto organico per il sovraffollamento del carcere ma che comunque cercano di operare con senso di umanità.
I bambini sono benvoluti da tutti; i volontari svolgono molte attività, tra cui quella di interagire con i bambini attraverso giochi e laboratori creativi.
Ma il carcere resta comunque un luogo di immensa sofferenza: tanto più per piccoli innocenti.
Le madri possono tenere con sé in carcere i bambini fino al compimento del terzo anno. Ma tutte quelle che ne hanno la possibilità preferiscono lasciarli a casa e affidarli a parenti. In carcere, così, finiscono soprattutto bambini che provengono da situazioni già svantaggiate, nomadi o extracomunitari, le cui madri non possono ottenere i benefici, a cominciare dagli arresti domiciliari.
Paradossalmente, questi bambini vivono meglio in carcere che fuori: hanno un letto, cibo, servizi igienici, assistenza medica.
Ma pur sempre reclusione è, psicologicamente devastante, anche se la separazione dalla madre potrebbe essere ancora più crudele.
Ed è per questo che continuo a domandarmi: quale sarà il futuro di questi bambini?
Ho finito le mie ore di attività; esco dal portone del carcere e mi lascio alle spalle storie, casi umani disperati, un odore che faccio fatica a non sentirmi addosso ma soprattutto gli occhi dei bambini che mi guardano, che accennano un sorriso e che mi chiedono di tornare.
Uno di loro mi regala una poesia, la leggo subito prima di arrivare alla macchina che mi riporterà a casa e piango lacrime amare.
“Il mio sogno
Vorrei realizzare da grande
il sogno di tirare su una famiglia
avere una bella casa
un bel lavoro
una bella moglie
e vivere sereno
non è troppo e neanche poco
ma è questo che chiedo
in questa vita
o che vorrei avere
non di più...”
Nel 2005 ero arrivata a Rimini e l’unica immagine che avevo avuto sempre in mente era quella delle file di ombrelloni, della movida delle notti bianche, dell'Adriatico placido e verde, insomma del divertimentificio più lungo d'Italia.
Monica Paliaga