Le fondazioni bancarie: una missione da ripensare

Giovedì, 08 Marzo 2012

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Le fondazioni bancarie: una missione da ripensare.


Le fondazioni bancarie sorgono in Italia con l’approvazione della c.d.legge “Amato-Carli” del 1990, con lo scopo di recepire, nella nostra legislazione, la spinta alle liberalizzazioni e privatizzazioni impressa dall’Unione Europea sul finire degli anni ’80. Scopo della normativa in questione era pertanto quello di privatizzare, fra l’altro, le Casse di Risparmio, i cui organi di gestione erano stati, fino ad allora, diretta emanazione del potere politico. Ai tempi della prima Repubblica in particolare, le nomine degli esponenti delle Banche di diritto pubblico (San Paolo Torino, Monte dei Paschi etc..) e delle Casse di risparmio avvenivano infatti attraverso una spartizione che veniva recepita in interminabili sedute notturne del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR).


Essendo Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi si approvò dunque la legge che, nei fatti, privatizzava fra l’altro le Casse di Risparmio, trasformando Enti di diritto pubblico in Società per azioni il cui pacchetto di maggioranza sarebbe stato detenuto dalle istituende Fondazioni. Successivamente alla nascita delle banche spa, le singole fondazioni avrebbero dovuto collocare sul mercato, in tutto o in parte, i pacchetti di maggioranza detenuti, al fine di attuare nella pratica la privatizzazione obiettivo della legge. Ma già nella prima applicazione della legge si fatica a scindere l’attività bancaria tradizionale (riservata alle neo-costituite spa) dall’attività delle fondazioni, indirizzata a fini non lucrativi di “interesse pubblico e utilità sociale”.


Secondo la legge le fondazioni dovevano operare nel mondo non-profit, pur potendo conservare una certa vocazione economica (ma sempre nell'ambito degli scopi non lucrativi). Il decreto, nel testo vigente, individuava i settori ammessi (fra gli altri, famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione; volontariato, filantropia e beneficenza; arte, attività e beni culturali etc..) nell'ambito dei quali le fondazioni avevano facoltà di scegliere, ogni tre anni, non più di cinque settori rilevanti. Le fondazioni bancarie potevano pertanto decidere di erogare fondi ad organizzazioni non profit che operano nei settori individuati, oppure di assumere la figure di "fondazioni operative", svolgendo direttamente attività d'impresa nei suddetti settori, purché strumentale al raggiungimento dello scopo di utilità sociale. Non è difficile immaginare che la quasi totalità delle fondazioni abbia scelto di continuare a gestire, sia pure in maniera indiretta, la banca controllata, mantenendo il legame con il territorio attraverso l’erogazione mirata di beneficenza, consentita dai dividendi.


Se questo era il contenuto della legislazione in materia e delle sue evoluzioni successive, è superfluo sottolineare che, nonostante i tentativi fatti propri dal ministro Tremonti nel 2001 di isolare sempre più la gestione bancaria da quella delle fondazioni (che avrebbero dovuto approfondire la propria vocazione di sostegno al territorio), la storia, anche recentissima, si è incaricata di dimostrare il contrario. Le Fondazioni bancarie non hanno mai cessato di svolgere attività bancaria, sia pure, come si è detto, indirettamente, anzitutto condizionando con le nomine la composizione dei consigli di amministrazione delle banche possedute; si pensi al riguardo al caso di Unicredit, che ha visto proprio negli ultimi giorni la defenestrazione di Dieter Rampl, ad opera di quelle stesse Fondazioni che avevano estromesso Alessandro Profumo e che ora, molto probabilmente, nomineranno Fabrizio Palenzona, membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, quale nuovo Presidente della Banca. Per quanto riguarda situazioni che riguardano più da vicino la nostra città, la storia della Fondazione Carim è stata caratterizzata da un lato dalla stessa intromissione nella gestione, attraverso la nomina dei membri del Consiglio di amministrazione di Carim spa, dall’altro, paradossalmente ma non troppo, da un difetto di governance in termini di sorveglianza e di controllo sull’operato degli amministratori e dei dirigenti che ha condotto al commissariamento dell’istituto.


Le Fondazioni mostrano così un volto a tratti schizofrenico: avide ed interessate solo ai dividendi, in qualunque modo assicurati ed anche a scapito del mantenimento dei legami con il territorio, da una parte; dall’altra, nonostante la capacità di condizionamento dei Consigli di amministrazione delle banche possedute, incapaci di esercitare una reale funzione di controllo e di indirizzo, tutelando il proprio investimento. Le conseguenze di un simile comportamento sono sotto gli occhi di tutti. Unicredit non rappresenta più nessuna delle realtà locali che pure hanno contribuito alla sua creazione, ma è diventata una grande banca internazionale, staccata dai territori e proiettata, nel bene come nel male, nella competizione cross-border. Allo stesso modo, fatte le dovute proporzioni, deve essere giudicata la crescita e l’espansione di Carim, divenuta gruppo bancario di rilievo nazionale, con dimensioni palesemente troppo grandi per le capacità di amministratori e manager. Entrambe le banche, se in passato hanno creato valore, sono state in seguito costrette a chiedere capitali freschi agli azionisti di maggioranza, quelle Fondazioni che, in realtà, non hanno altri attivi se non la quota di capitale della banca originariamente posseduta.


Se poi consideriamo che nel periodo 2006-2010 la Fondazione Carim ha deliberato erogazioni per 22,8 mln. di € distribuendone effettivamente 13,8 (fonte: Bilancio di missione Fondazione Carim), possiamo vedere come le dimensioni dell’aumento di capitale, integralmente sottoscritto dalla Fondazione, superino di gran lunga questi ammontari ma, soprattutto, non trovino capienza alcuna nel valore degli attivi della Fondazione. Le probabili conseguenze di quanto descritto, come nel caso della Fondazione MontePaschi di Siena - in condizioni non dissimili da Fondazione Carim - sono di non poco conto. Fondazioni non in possesso di sufficiente liquidità per sostenere le banche controllate si vedranno infatti costrette all’indebitamento o alla cessione di parte del pacchetto di azioni detenute, fino alla possibile perdita del loro controllo.


Uno scenario che riguarda dunque Fondazioni e Banche diverse, tutte prestigiose, a livello nazionale. Qualunque sia l’esito di questi assestamenti (più o meno radicali essi si riveleranno), ciò che si impone, fin da subito, è una riflessione tutta nuova sulle modalità di intervento e di relazione delle stesse con il proprio territorio.


Alessandro Berti
twitter@profBerti