Il gruppo Bologna Fiere chiude il proprio bilancio 2020 con un buco di 46,52 milioni e di 32,3 per la capogruppo. Nello scorso anno si sono registrati 126,4 milioni di ricavi in meno, pari ad un calo del 75 per cento rispetto al precedente esercizio. La ragione di tale risultato disastroso è evidenziata dal titolo del paragrafo in cui si trattano questi dati: “Emergenza sanitaria COVID-19 e continuità aziendale”.
L’emergenza da Coronavirus ha colpito in modo particolare il mondo fieristico, il primo a chiudere e l’ultimo a riaprire. Nella relazione al bilancio è sottolineato il venir meno della maggior parte della manifestazioni, e quindi dei ricavi, a cui non ha potuto corrispondere un corrispondente taglio dei costi.
Per quanto riguarda il 2021, "visto il protrarsi della pandemia e delle relative misure restrittive durante il primo semestre 2021, e considerato che gli impatti negativi sulla performance del periodo possono essere solo parzialmente compensati dalla riprogrammazione del calendario fieristico, la capogruppo – si legge sempre nella relazione – ha avviato interlocuzioni con gli istituti di credito per ridefinire le condizioni finanziarie dei finanziamenti per l'esercizio 2021". In ogni caso, scrivono gli amministratori, "le proiezioni dei flussi finanziari di cassa per i prossimi 12 mesi confermano la disponibilità attuale e prospettica di risorse adeguate per consentire di mantenere in equilibrio la situazione finanziaria dell'esercizio 2021 e nel primo semestre del 2022". Quindi la società resta in piedi e continua l’attività, Covid permettendo. Tuttavia, prima di queste fiduciose considerazioni, si può leggere un inciso che al contrario è poco rassicurante: “Pur in presenza di significative incertezze che pongono dubbi sulla continuità aziendale legate in particolare al protrarsi della pandemia, che hanno e che potranno ancora impattare le performance della società e del Gruppo….”.
Le notizie provenienti dal capoluogo regionale sul bilancio di Bologna Fiere hanno messo a rumore i palazzi riminesi, in particolare i soci pubblici di Ieg, Comune, Provincia, Camera di Commercio, che giusto due mesi fa erano intervenuti con una nota polemica per evidenziare che le difficoltà per il matrimonio fra Bologna Fiere e Ieg non venivano da problemi di governance (ovvero la distribuzione delle poltrone) ma dall’analisi dei bilanci. “Il tema – affermava la nota - non è il campanilismo, l'adombrare mire sulla governance. Una classe dirigente, per dirsi tale, discute e parla per atti, documenti, bilanci approvati (e IEG li ha) e non avanzando ipotesi riesumate dal peggio del peggio del 'poltronificio' politico. Non si dice da una parte 'la fusione delle fiere è un grande obiettivo' e dall'altro si fa di tutto per ostacolarlo.”
I dati di bilancio di Bologna Fiere, ora diventati pubblici, sembrano confermare le valutazioni dei soci pubblici di Ieg. Peraltro la società presieduta da Lorenzo Cagnoni ha pure chiuso il 2020 in rosso (il Covid c’è stato anche a Rimini), ma con una perdita nettamente inferiore: 12,7 milioni di euro.
Ora ogni dibattito è congelato in vista delle elezioni amministrative di ottobre, che coinvolgono sia Bologna che Rimini. Forse se ne parlerà in campagna elettorale, ma le decisioni sono rimandate a dopo il voto.
Agli atti c’è la dichiarazione diffusa da Ieg circa un mese fa in cui la società “riafferma l’assoluta validità industriale del progetto strategico di aggregazione delle due fiere e continuerà a valutare la fattibilità del percorso di integrazione successivamente all’insediamento dei nuovi Consigli dei Comuni di Rimini e Bologna, rispettivamente tra gli azionisti di riferimento di Ieg e Bologna Fiere”.