Appare evidente che la decisione della Regione Emilia Romagna di intervenire decisamente a sostegno del processo di aggregazione fra IEG e Bologna Fiere dipenda dalla necessità di dare (e mostrare) solidità a un settore in grande difficoltà in questo momento, oltre che per risolvere il tema della governance del nuovo colosso fieristico, destinato a diventare il primo in Italia e il terzo in Europa, sul quale, dopo le dichiarazioni di intenti dell’ottobre scorso, le trattative si erano arenate. Il presidente Stefano Bonaccini ha annunciato che la Regione aumenterà la propria partecipazione azionaria e che sosterà il piano industriale. Dopo la svolta IEG è intervenuta per comunicare che "il progetto" di fusione "sarà comunicato al mercato e sottoposto all’approvazione degli azionisti di Ieg e BolognaFiere quanto prima e compatibilmente con le disposizioni di legge vigenti".
Intanto da Bologna rimbalzano anche le notizie sulla possibile governance della nuova società. Tramontata l’idea, cara a Rimini, di una holding guidata da un amministratore di nomina regionale, si sarebbe ora orientati ad una newco in cui le cariche sarebbe così distribuite: presidenza a Rimini (adesso Lorenzo Cagnoni), vice presidenza a Bologna (l’attuale presidente di Bologna Fiere, Gianpiero Calzolari), e Antonio Bruzzone nel ruolo di amministratore delegato. Sarebbe così tramontata l’ipotesi di due amministratori delegati, per tenere in equilibrio i territori. È plausibile che il ruolo di presidente, una volta uscito di scena Cagnoni, sia stato ‘prenotato’ per il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, che nel 2021 termina il mandato. Le attenzioni sono state riservate al valzer delle poltrone, ma altrettanto importante è sapere come, nella sua situazione unitaria, sarà gestito il calendario delle fiere a Rimini. In occasione della quotazione in Borsa di IEG erano stati fissati dei paletti, lo sarà anche per la nuova società?
L’accelerazione nel processo di fusione fra Rimini e Bologna è stata provocata dalla crisi da pandemia, che ha creato vuoti paurosi nei bilanci delle due società. Prima del Covid, la sceneggiatura della telenovela prevedeva queste fasi: l’idea dell’aggregazione rilanciata specialmente da Bologna, Rimini che rispondeva sostanzialmente con dei ‘ni’, dicendo di voler vedere i bilanci, i piani industriali, insomma che avrebbe partecipato solo ad un’operazione economica e non a un salvataggio politico di Bologna. In quel momento, superata brillantemente la crisi del 2008/2009, Rimini si sentiva forte, con il vento poppa, pronta ad espandersi prima e meglio di Bologna Fiere. In questo scenario la Regione stava a guardare, qualche dichiarazione di buona volontà, ma niente di più.
La crisi da pandemia ha cambiato le carte in tavola, ha messo d’accordo per un’aggregazione con concambio delle azioni 1 a 1, e ha portato la Regione a scendere in campo con una moral suasion fondata sui capitali (ancora non si sa quanti) da versare nella nuova società.
È legittimo chiedersi, di fronte alla svolta, se essa sarà limitata solo al sistema fieristico, uno dei settori più colpiti dalla crisi, destinato a ripartire per ultimo) o anche per altri settori ugualmente colpiti. Ogni riferimento alla questione degli aeroporti non è affatto casuale. Fino ad oggi cosa ha detto la Regione di fronte a tre aeroporti (Bologna, Forlì e Rimini) in concorrenza nel raggio di 110 chilometri? Ha sottolineato che mai e poi mai entrerà nella compagine azionaria e che si limiterà a sostenere gli investimenti infrastrutturali che le società di gestione realizzeranno in accordo con Enac. E la concorrenza fra Rimini e Forlì, a cinquanta chilometri di distanza, stesso bacino di utenza? Un problema loro, potranno dialogare, integrarsi a vicenda, ma non è compito della Regione metterli d’accordo.
È immaginabile il ragionamento, anzi a volte è stato pure esplicitato. Sia per Rimini che per Forlì gli enti pubblici sono usciti con le ossa rotte dalle precedenti società di gestione che sono fallite (la Regione era socia di Aeradria e non ha compiuto operazioni di salvataggio). Adesso i due aeroporti sono gestiti da società private, che facciano fino in fondo i conti con le regole del mercato.
Sarà. Ma si dovrebbe spiegare perché gli aeroporti non rivestano un ruolo strategico per l’economia regionale al pari del sistema fieristico. A parole, tale rilevanza strategica è stata sempre proclamata.
A meno che la svolta interventista sulla fiere non sia un preludio di novità anche per il destino degli aeroporti. È bello sperarlo ma il realismo porta ad altre conclusioni. Vedremo.