Il revisionismo storico come strumento di lotta politica non è certo una novità. Si modificano i fatti del passato per giustificare le scelte del presente. Non si arriva a dire che è bianco ciò che era nero, ma fra le infinite sfumature di grigio si scelgono quelle che fanno più comodo e si nascondono quelle che potrebbero essere di intralcio. A volte nella defunta Unione Sovietica e nei regimi totalitari di comunisti o di destra, la fretta di correggere il passato in funzione del presente produceva effetti comici esilaranti, come personaggi cancellati dalle fotografie ufficiali o ritratti che venivano tolti e rimessi nelle sedi di partito o negli uffici pubblici.
Il revisionismo storico è stato usato per importanti battaglie ideologiche su scala mondiale. La novità, che riguarda direttamente Rimini e le prossime elezioni amministrative, è che il revisionismo è oggi usato per giustificare la scelta di una candidata sindaco, Emma Petitti. È la candidata di Maurizio Melucci che, a riposo forzato dopo aver perso la poltrona di assessore regionale, non vede l’ora di rimettere le mani in pasta e avere voce in capitolo sui destini della città. Questo progetto, che persegue da tempo e che lo ha portato anche ad essere l’editore di un giornale online, ha trovato un fastidioso inciampo nella narrazione che tutti, tranne la sua corrente all’interno del Pd, offrono della candidatura Petitti: un ritorno al passato, una rottura rispetto alla stagione innovatrice di Andrea Gnassi.
Melucci ha capito che se questa narrazione si consolida ulteriormente i sogni di gloria che ha riposto sulla signora presidente del consiglio regionale potrebbero appunto restare solo sogni.
Pertanto ha deciso di imbracciare l’arma del revisionismo storico, non per offrire una legittima lettura diversa degli ultimi venticinque anni ma nientemeno che per “rimettere le cose al loro posto”. Della serie: per conoscere la verità dovete ascoltare il sottoscritto. Melucci ha pertanto deciso di scrivere una serie di articoli per svelare “la grande mistificazione” che sarebbe in atto ai suoi danni e di quelli della sua candidata. Non è vero che nel passato ci sarebbero cementificazione e poca cura dell’ambiente. L’ex vice sindaco articolo dopo articolo dimostrerà l’assoluta continuità ambientalista delle amministrazioni dal 1995 ad oggi, in modo da far rientrare anche il decennio di Gnassi nel flusso ininterrotto del sempreverde governo della sinistra.
Il primo articolo il novello revisionista lo ha dedicato alle giunte guidate da Giuseppe Chicchi, specialmente quella dal 1994 al 1999. La scelta fondamentale di Chicchi fu quella di rispondere all’esigenza di rilancio della città con la cosiddetta infrastrutturazione. Cioè massicci investimenti in grandi opere pubbliche che avrebbero dovuto fare da volano ad una nuova stagione di sviluppo. È il periodo delle “grandi opere”, sulle quali Chicchi scommette tutta la propria credibilità di sindaco. Melucci le ricorda tutte, sia quelle che sono andate a buon fine sia quelle che ancora non sono concluse: CAAR, centro agroalimentare, Nuova Fiera di Rimini, Darsena e relativo residenziale, Sede della Capitaneria di Porto, Palazzo di Giustizia, Comando provinciale dei Carabinieri, Nuovo Palazzetto dello Sport, Nuova Caserma dei Vigili del Fuoco, Nuova Questura. Realizzata e mai utilizzata per le note vicende, TRC.
Melucci si affretta subito a precisare che “Tutti questi interventi si sono concretizzati di fatto con le giunte di Alberto Ravaioli (in cui lui era vice sindaco, nda), ma erano stati decisi, approvati e finanziati, in varie forme, dalla giunta Chicchi del 1994-1999”. Ricorda anche che il prezzo di alcune grandi opere sono stati i cosiddetti motori immobiliari, cioè metri cubi di residenziale.
Melucci invece non ricorda cosa lui stesse facendo in quel periodo. Nel 1998 era diventato il segretario del Pds (così si chiamava allora) e non aveva un atteggiamento propriamente empatico nei confronti della giunta Chicchi. Al professore insediatosi a Palazzo Garampi, che riconduceva tutto alla strategia delle grandi opere, il partito (a quel tempo esisteva e aveva un peso) rimproverava di dimenticarsi delle lampadine fulminate e delle buche sulle strade. Se si vanno a sfogliare le cronache dell’epoca le si troverà piene di queste polemiche. In più di un’intervista Chicchi doveva difendersi dall’accusa di disinteressarsi dell’ordinaria manutenzione della città.
Da segretario del partito Melucci intanto preparava la successione a Chicchi, nel segno dell’assoluta discontinuità. Mentre Chicchi si occupava di grandi opere, lui trattava con il collega Mauro Ioli del Ppi per chiudere l’era Chicchi e disegnare futuri organigrammi e assetti di potere. Per sé si era riservato il ruolo di vice sindaco al fianco del non politico Alberto Ravaioli. Dopo l’elezione, per marcare la discontinuità, Ravaioli scelse di affossare il progetto Natalini del Teatro Galli e di sposare la causa dei nostalgici del dov’era e com’era.
La storia va avanti e le persone assumono nuove posizioni. Chicchi, ad esempio, ha lasciato il Pd mentre Melucci è rimasto fedele alla ‘ditta’. I rivali di un tempo si sono ritrovati nella comune avversione al sindaco Andrea Gnassi, così che Chicchi è pure diventato un opinionista del giornale di Melucci. Questo è il presente, ma è scorretto proiettare i rapporti di oggi sugli scenari di venticinque anni fa.
Valerio Lessi