Jamil Sadegholvaad, l’assessore dal nome strano, l’erede designato del decennio di amministrazione Gnassi, è il nuovo sindaco di Rimini. Lo è diventato ieri sera con il 51,32 per cento dei voti. Non c’è stato bisogno di ballottaggio. Alle sue spalle, a quasi venti punti di distanza, ha lasciato Enzo Ceccarelli, il candidato del centrodestra, che è andato incontro ad una vera e propria debacle: si è fermato al 32,94 per cento. Gloria Lisi, l’ex vice sindaco che ha voluto correre da sola, non ha raggiunto lo sperato risultato a due cifre: solo l’8,93 per cento. Era sostenuta dal Movimento 5 Stelle, che ha conquistato un misero 2,45 per cento. È andata molto meglio a Matteo Angelini, candidato del movimento 3V, ovvero i no vax, che entra in consiglio comunale spinto da un clamoroso 4,1 per cento.
Questa la sintesi della giornata elettorale di Rimini. Volendo entrare nel dettaglio dell’analisi, non si può non rilevare la bassa affluenza (55,5): quasi un elettore su due ha preferito rimanere a casa. Su questa disaffezione al voto, che inaspettatamente colpisce anche le elezioni locali, ci sarà molto da riflettere per le forze politiche. A dispetto di una certa retorica (“non ci fanno votare”), al momento decisivo un cittadino su due ha rinunciato al proprio diritto. Più che il bene comune sembra abbia prevalso una mentalità individualistica. Del resto il successo dei no vax va in questa direzione: una scelta di vita particolare che diventa partito politico. Se gli elettori sono rimasti a casa, evidentemente l’offerta politica non era di qualità tale da indurli ad andare al seggio. È un’assenza che colpisce soprattutto l’area di centrodestra che più di altre doveva essere motivata per dare il proprio contributo. Gli elettori di centrosinistra, per tradizione, sono più fedeli al dovere elettorale. Sulla scarsa affluenza è lecito immaginare che possa avere influito anche lo spettacolo indecoroso offerto dal centrosinistra (lotta interna al Pd per il candidato) e dal centrodestra (incapacità a trovare un candidato degno di questo nome) nei sei mesi precedenti al voto.
Sul successo di Jadegholvaad c’è poco da dire. Evidentemente alla maggioranza degli elettori è piaciuta la città che ha lasciato il sindaco Andrea Gnassi ed ha voluto premiare il candidato che si è presentato come l’alfiere della continuità. È andato bene il candidato sindaco, ma sono andate benissimo anche le liste che lo sostenevano. Il Pd, nonostante abbia ceduto voti alle liste civiche di centrosinistra, resta oltre il 26 per cento. La Lista Jamil, quella fortemente sponsorizzata da Gnassi, raggiunge quasi il 17 per cento, andando oltre di quattro punti al Patto Civico del 2016.
Quando ha siglato l’accordo elettorale con il Movimento 5 Stelle, Gloria Lisi non immaginava certo che i grillini non avrebbero raggiunto nemmeno il 2,5. Un magro bottino a cui, per essere un po’ più sostanzioso, non sono bastati nemmeno i due bagni di folla di Giuseppe Conte. A Lisi è andata meglio con le sue liste civiche, specialmente con quella che portava il suo nome, che ha superato il 4 per cento. La vittoria al primo turno di Sadegholvaad ha impedito all’ex vice sindaco di far pesare i suoi voti al turno di ballottaggio.
Il risultato elettorale dovrà aprire una seria riflessione, si spera, nei partiti di centrodestra. Hanno perso, ed hanno perso male, come se non ci fosse stata partita. La delusione per la bruciante sconfitta deve cedere il passo ad un’iniziativa politica che restituisca la speranza del cambiamento ai propri elettori che in parte hanno preferito non andare a votare.
Sono molti gli errori commessi, talmente evidenti che solo ad elencarli dà l’impressione di sparare sulla Croce Rossa. Innanzitutto la scelta del candidato. Ci si è incaponiti sulla scelta del civico e, nell’impossibilità di trovarne uno all’altezza, si è ripiegato sull’ex sindaco di Bellaria. Una scelta maturata tardi, fuori tempo massimo, senza la piena convinzione degli alleati. Una fase che porta la firma del coordinatore regionale della Lega Jacopo Morrone, che, per lealtà verso gli elettori riminesi di centrodestra, dovrebbe assumersi la responsabilità della debacle e trarne le dovute conseguenze. È auspicabile che questo voto ponga fine a un centrodestra riminese eterodiretto (male) da Forlì. Fino all’ultimo momento i dirigenti locali del centrodestra si sono cullati nell’illusione che il 47 per cento ottenuto alle regionali del 2020 si potesse automaticamente replicare alle comunali, pur in assenza di un candidato valido e di una proposta per la città. Non funziona così. Ormai sono numerosi i casi, anche in Romagna, che mostrano come gli elettori alle amministrative votino in modo diverso, sono più attenti a nome, cognome e credibilità dei candidati. I dirigenti locali del centrodestra, inoltre, non hanno mai voluto prendere atto che la Rimini del sindaco Gnassi, con i suoi pregi, i suoi difetti, ed anche le sue evidenti lacune, piace alla maggioranza degli elettori. Invece che mettersi in sintonia con questo sentimento diffuso, e promettere un balzo in avanti, un salto di qualità per fare meglio di Gnassi, si sono attardati sulla retorica del cambiamento, che può funzionare quando si esce da un disastro evidente, ma non era il caso di Rimini.
Nel centrodestra, gli elettori non hanno premiato la battaglia “barricadera” di Lucio Paesani che pure ha cercato di condizionare toni e linguaggio della coalizione: la sua lista in campagna elettorale da quasi un anno si è fermata all’1,76 per cento. Se si pensa che l’adesione del civico Paesani alla candidatura di Ceccarelli è stato il grimaldello con cui Morrone è riuscito ad imporla alle altre forze… Paesani ha preso appena venti voti in più di Davide Frisoni, che ha confezionato la sua lista all’ultimo minuto. Restano senza rappresentanza i “moderati” che hanno preso appena il 2 per cento.
Gli elettori hanno mostrato di non essere molto appassionati al duello fra Lega e Fratelli d’Italia per il primato nella coalizione, e salomonicamente hanno loro dato pari forza, con uno scarto di poche decine di voti. Nei due gruppi consigliari sono stati eletti nuovi consiglieri e confermati alcuni uscenti che si presentano con le carte in regole per impostare un’opposizione costruttiva al sindaco Jamil e porre le basi per la nascita di un centrodestra di governo. In queste settimane si è molto insistito sul centrodestra unito: non basta l’unità, occorre che ci sia una cultura di governo e persone credibili che la sappiano interpretare. È questa la sfida, suffragata dal disastro elettorale, che attende gli uomini del centrodestra.