L’insediamento del nuovo consiglio comunale, con tanti nuovi e anche giovani consiglieri, non può non essere guardato come l’occasione di un nuovo inizio per la politica cittadina; non solo per chi siederà fisicamente sui banchi della maggioranza e dell’opposizione, ma per la relazione stessa tra i riminesi e la politica.
Ed ecco dunque la domanda.
Siamo certi che questa relazione possa ancora fondarsi sulla convinzione dei diversi schieramenti in consiglio di rappresentare l’identità dei propri elettori e le loro preoccupazioni? E questo non solo per le loro mancanze, ma per la natura stessa dell’identità e delle aspettative dei cittadini cui essa si rivolge.
In tempi ormai antichi, infatti, una carica ideale condivisa motivava scelte di campo ‘definitive’ e la lotta per governare si portava dietro la vita e la cultura di un popolo intero, ma nel mondo di oggi, nel quale ognuno si ritrova costretto a fare i conti spesso solo con se stesso e con la paura che chiunque possa erodere le possibilità di cui dispone, la pressione sulla politica è sempre più emotiva e mutevole.
La stessa crescita dell’astensionismo non rappresenta che l’altra faccia di questa pressione e di questa pretesa; e la conquista della maggioranza, che i partiti ‘vendono’ come finalmente risolutiva, è vista come pretestuosa, solo un circolo vizioso, un potere che serve alla politica per alimentare se stessa.
D’altra parte, un po’ perché obbligata, un po’ perché condivide la stessa mancanza di legami generativi, la politica volentieri sceglie di rincorrere la velocità dei social e di preoccuparsi solo del consenso immediato, inseguendo ogni opinione o protesta senza una visione propria.
Così, volendo parlare alla politica (della società civile riparleremo), prima ancora dei risultati non possiamo che invocare le ragioni e le speranze di chi ha deciso di buttarsi nella ‘mischia’. Non per sollevare una questione morale o per distinguere comportamenti virtuosi da altri impropri o addirittura illegittimi, ma perché le ‘bandiere’ sventolate dai partiti hanno ormai perso quasi ogni valore di legame e dunque occorre domandarsi su cosa si possa fondare oggi questa nuova relazione.
Qui, infatti, nel punto in cui la politica può rinfacciare la propria ‘decadenza’ alla società civile e la società civile accusare la politica delle sue continue inadempienze, si apre la necessità di una rottura unilaterale, di qualcuno che per primo ponga un elemento nuovo; in qualche modo egli stesso un nuovo inizio.
Cosa accadrebbe, ad esempio, se un consigliere, invece di accodarsi alle ritualità e ai giochi di potere del partito, o invece di seguire l’onda delle emozioni prevalenti, da oggi rischiasse in prima persona l’avvio di questa relazione con chi fosse disponibile a farlo con lui, un piccolo gruppo, o grande, non importa; non per l’intelligenza dei pareri che potrebbe raccogliere, non per il potere che gli darebbe, ma solo perché lo sostenga esattamente in quell’impegno che si è dato?
Non funzionale a trovare i voti al partito o alla propria carriera, ma una esperienza di condivisione, quasi generativa, nel quale le ragioni personali che lo hanno portato alla politica siano rinnovate continuamente (una volta si chiamava popolo), attraverso la quale capire cosa sia ciò che lo distingue dall’avversario politico, quale sia il valore operativo reale e non retorico dei propri discorsi, quale la sua utilità.
Una strada lungo la quale ci si potrebbe anche domandare quale possa essere un nuovo modo di fare opposizione o di amministrare; se la minoranza debba fare le proprie scelte solo per provare a intralciare o sgambettare la maggioranza o se la maggioranza debba giocare a ‘nascondere’ i problemi che deve affrontare o gli esiti delle proprie decisioni solo per governare indisturbata.
Ma come sarebbe un errore pensare che, di fronte ai numeri attuali dell’astensionismo, questi discorsi siano solo un’utopia buonista e non un’urgenza drammatica, sarebbe un’altra grave svista credere che, nell’ambito di questa relazione, un cittadino del terzo millennio chieda e ricompensi con il proprio consenso solo soluzioni pratiche e immediate. Probabilmente invece chiede persone cui guardare, non appena militanti; chiede competenza, non solo schieramenti; chiede lealtà, non sotterfugi; chiede grandezza d’animo e di cuore, non calcolo politico. Perché anche lui ha bisogno di qualcuno che lo sostenga nella sua vita quotidiana, e chi non lo fa tornerà a votare solo quando potrà scegliere tra persone che si sfidano su questo e non imprigionate nelle regole della lotta per il potere.
(rg)