“Quanta ricchezza di santi e di beati!” È un’espressione a braccio che non si ritrova nel testo ufficiale del discorso che Giovanni Paolo II fece alla diocesi di Rimini in pellegrinaggio a Roma il 19 aprile 1980. Ma chi c’era ed ha buona memoria potrà ricordarla. Il papa aveva appena nominato alcune figure che appartengono alla storia di Rimini: “I santi che sono nati e cresciuti nelle vostre famiglie: santa Paola di Roncofreddo, i beati Simone Balacchi e Giovanni Gueruli, la beata Chiara da Rimini ed il beato Amato Ronconi ed Alessio di Riccione; come pure quelli, insigni, che tra le vostre balze ridenti e nelle vostre piazze fervide di commerci, hanno predicato e testimoniato la parola di Dio, come san Francesco di Assisi e sant’Antonio di Padova; tutti hanno costruito per voi una eredità inestimabile che ora siete chiamati non solo a difendere strenuamente, ma, altresì, ad accrescere, a valorizzare, a promuovere”. Era il 1980 e quindi mancavano all’appello almeno tre beati che si sono aggiunti in seguito: Alberto Marvelli, proclamato dallo stesso Giovanni Paolo II a Loreto nel 2004; Maria Rosa Pellesi, la suora francescana missionaria di Cristo (Sant’Onofrio) salita alla gloria degli altari nel 2007, sotto il pontificato di Benedetto XIV, ed infine Sandra Sabattini, la giovane figlia del carisma di don Oreste Benzi che sarà beatificata domenica prossima in Cattedrale. Tre nuovi beati in diciassette anni! Ed un beato medievale dalla biografia più che affascinante, Amato Ronconi di Saludecio, proclamato santo. E a Roma sono in corso le cause della venerabile Carla Ronci, dei servi di Dio don Oreste Benzi, don Domenico Masi, Faustina Zavagli e Angela Molari. Cosa significhi questa irruzione della santità in mezzo a un popolo lo aveva detto il papa poco prima di stendere l’elenco dei beati e dei santi: “La vostra fede di antica origine è un patrimonio prezioso che ha costituito per i vostri antenati, fin dai primi secoli del cristianesimo, fin dai tempi di san Gaudenzo, di san Marino, di san Leo, il valore fondamentale della loro vita; ha suggerito loro la chiave di interpretazione degli avvenimenti quotidiani e delle grandi pagine della storia; ha illuminato nelle loro menti il vero significato del lavoro, del dolore e della morte; ha donato loro la gioia di vivere quali figli di Dio”.
La santità è insomma un avvenimento che non può essere ridotto ad una dimensione spiritualistica, ad una devozione per l’anima di persone estranee ai drammi della vita personale e della società in cui si trovano. La santità è un avvenimento che incide sulla storia, che fa storia. Lo ha scritto in maniera chiara un grande esperto della materia, Louis De Wohl, prolifico autore di biografie romanzate dei grandi santi della storia. «Le vite dei santi appartengono alla storia, perché sono loro stessi a fare la storia e, meglio ancora, la fanno come piace a Dio. La storia senza i santi si riduce a guerre, battaglie, nazioni soggiogate o liberate, leggi e decreti, Paesi che si avvicendano nella supremazia reciproca. Di tanto in tanto, però, Dio mostra la strada, e ogni volta, per indicarla, si avvale di un santo». De Wohl scriveva dopo aver attraversato lutti e dolori della seconda guerra mondiale, ma anche noi che abbiamo visto mettere in crisi consolidate certezze dalla pandemia e abbiamo cercato segni e persone che indicassero una speranza nuova capace di reggere all’urto del tempo, possiamo ben capire la portata della riflessione di de Wohl.
Poiché moltissimo si è detto e scritto di Alberto Marvelli, l’assessore della ricostruzione, limitiamo alcune considerazioni alle beate Maria Rosa Pellesi e Sandra Sabattini.
Entrambe si impongono all’attenzione per non aver fatto nulla di speciale. Cosa ha fatto di straordinario in vita quel tale santo per meritarsi l’aureola?, ci si chiede abitualmente. Per Maria Rosa e Sandra la risposta è: nulla. Maria Rosa, malata di tubercolosi, ha vissuto ventisette anni in un sanatorio, con le uniche occupazioni di offrire le proprie sofferenze a Dio e di consolare le compagne di sventura. Sandra è morta giovanissima, appena 22 anni, ha avuto giusto il tempo di immaginare il proprio futuro e di affacciarsi alla vita adulta. Sia per Maria Rosa che per Sandra è la banale vita quotidiana che ha assunto le dimensioni dell’eroico.
C’è un aspetto in più che vale la pena sottolineare: sono persone che hanno abbracciato fino in fondo le circostanze della vita e in esse hanno vissuto nella fede suscitata e alimentata dall’incontro con un carisma.
Bruna Pellesi era una bella ragazza amante della moda all’ultimo grido. Ha obbedito alla vocazione che la voleva suora nell’Istituto Sant’Onofrio dove è diventata suor Maria Rosa. Quando lei è da anni ricoverata in sanatorio il suo Istituto intraprende la strada del rinnovamento secondo le direttive del Concilio. Anche suor Maria Rosa che da venticinque anni non fa vita di comunità ma è esiliata, sola, in ospedale, partecipa alla consultazione della sua congregazione. Alle suore viene chiesto di proporre un nome che esprima il carisma proprio della comunità. Lei non ha dubbi, anche perché attinge dalla propria esperienza. Siamo di Cristo, siamo affascinate dall’ideale francescano, siamo chiamate ad essere missionarie, chiamiamoci “suore francescane missionarie di Cristo”. Ed il capitolo non può che fare propria la proposta. Dunque: non solo non c’è circostanza in cui non si possa vivere il carisma incontrato (anche in una solitaria corsia di ospedale), anzi la propria esperienza di santità, pur nella lontananza e nella solitudine, può diventare rigenerativa del carisma della propria comunità di appartenenza.
Di Sandra Sabattini si è detto “santa della porta accanto”, “prima santa fidanzata”. Nessuno ha mai osservato che è una delle prime beate (probabilmente la seconda, dopo Chiara Luce, dei Focolari) che proviene da una delle comunità e movimenti ecclesiali fioriti dopo il Vaticano II. È una circostanza dal significato enorme. I membri della Comunità Papa Giovanni XXIII sono certi che il cammino loro indicato da don Benzi porta alla santità non solo perché la Chiesa lo ha riconosciuto ufficialmente, ma anche perché con Sandra Sabattini hanno avuto, come dire, la verifica sperimentale.
La vita di Sandra non si spiega senza l’incontro con don Oreste Benzi e la sua comunità. Al ritorno dal primo campeggio confida ai genitori: “Ci siamo spezzati le ossa ma quella è gente che io non abbandonerò mai”. Le parole fotografano l’incontro con un carisma che la ragazza subito percepisce nella sua potenza attrattiva e persuasiva. La sua breve vita sarà segnata da quell’incontro. Ha vissuto il carisma in tutte le modalità allora proposte, fino alle forme storiche di quel momento come fare volantinaggio o la vendita militante del giornale della comunità.
Sandra è andata talmente a fondo di quel carisma, fondato sulla condivisione di vita con i più poveri, da poter scrivere sul suo Diario: “Dire scelgo i poveri: ora è troppo facile, non serve a niente se poi quando esco è tutto come prima. No, dico: scelgo Te e basta”.
Che in questo tempo sia beatificata una giovane con le caratteristiche di Sandra è un evento interessante per tutta la comunità riminese, non solo per quella ecclesiale. La fede è capace di generare un tipo umano positivo, capace di costruire rapporti solidali e di attrarre giovani alla ricerca di un senso per l’esistenza. È il punto da cui siamo partiti: la santità incide sulla storia.
L’altra evidenza è che la fedeltà ad un carisma riconosciuto dalla Chiesa genera santità.
Valerio Lessi