Stefano Caldari, il candidato del centrodestra a Riccione, è stato clamorosamente sconfitto al primo turno ma la sua perfomance è risultata migliore di quella di Renata Tosi nel 2017. L’ex sindaca aveva ottenuto al primo turno 6.236 voti, Caldari ha raggiunto quota 6.304. Un dato che smentisce l’interpretazione secondo cui il centrodestra sarebbe stato penalizzato dall’astensionismo (il calo dei votanti è stato solo di tre punti). Caldari ha perso perché la sua avversaria, la nuova sindaca Daniele Angelini, è volata a 8.378 consensi, mentre nel 2017 Sabrina Vescovi si era fermata a 5.917. Da dove sono arrivati i nuovi voti? Certamente Angelini ha pescato nell’elettorato che cinque anni fa si era riversato su Patto Civico, la lista centrista promossa da Sergio Pizzolante (2.603 voti) e aveva dato ai 5 Stelle un risultato (2.360 voti) meno magro di quello racimolato domenica scorsa. Quello di Patto Civico era un elettorato mobile, in cerca di casa, il centrosinistra è stato più bravo ad attirarlo. Non basta che una coalizione sia unita, per vincere (a Riccione il centrodestra lo era), occorre che raccolga consensi oltre i propri confini.
A Riccione esiste un solo grande partito, il Pd, che ha sfiorato il 30 per cento dei consensi, tornando così al buon risultato (vittoria di Bonaccini) delle regionali del 2020. Nel 2017 si era fermato al 27,1. In termini assoluti le prestazioni quasi si equivalgono: 4.475 voti cinque anni fa, 4.589 il 12 giugno.
Nel centrodestra il partito più consistente è la Lega con il 5,31 per cento. E già questo dato la dice lunga. È un primato, verrebbe da dire, al ribasso: seguono a ruota Fratelli d’Italia con il 5,23 e Forza Italia con il 4,66. Tutto il centrodestra raccoglie poco più del 15 per cento, esattamente la metà del Pd. Il resto dei voti di centrodestra è andato alle liste civiche, da quella del candidato sindaco Stefano Caldari (10,15) a quelle con il brand Renata Tosi (6,95 Noi Riccionesi e 5,75 la lista intitolata all’ex sindaco). È evidente che queste liste civiche hanno drenato voti dall’elettorato tradizionale dei partiti (quasi una cannibalizzazione) e non hanno portato un voto “civico” in più. Questo è molto evidente nel caso della Lega che alle regionali del 2020 aveva superato quota 35 per cento dei consensi e ora si ritrova solo con il 5. In ogni caso, ammesso e non concesso che i voti delle civiche di centrodestra siano tutti di provenienza leghista, emerge l’estrema fluidità di un elettorato che ad una elezione c’è e all’altra quasi non c’è più. Elettorato mobile, di opinione, che non trova sul territorio una presenza politica a cui ancorarsi stabilmente.
Diversa la gestione delle liste civiche nel centrosinistra. Non hanno rubato voti al Pd, che sta al 30 per cento, ed hanno comunque racimolato complessivamente un prezioso 15 per cento dei voti, grazie anche all’ottima performance della lista 2030 di Fabio Ubaldi che ha sfiorato l’8 per cento. Va peraltro osservato che fra quanti sono andati a votare solo il 51 per cento ha scelto un partito organizzato e strutturato, il resto si è affidato alle liste civiche. E la disaffezione ai partiti ha colpito soprattutto il centrodestra. Un ulteriore tema di riflessione post elettorale.
Fra i candidati consiglieri, il recordman di preferenze è Simone Imola, figlio d’arte, lista Pd, che ha raccolto 631 voti personali. In consiglio entrano tre ex assessori della giunta Tosi ed anche l’ex sindaca. L’onorevole Elena Raffaelli ha battuto tutti conquistando 350 preferenze, un bottino ottimo considerando che la Lega è solo al 5 per cento. La segue Laura Galli, della lista Renata Tosi, con 286 preferenze e, più distanziato, Andrea Dionigi Palazzi, di Forza Italia, con 130 voti. L’ex sindaca entra in consiglio per Noi Riccionesi, ma con sole 274 preferenze. Renata Tosi battuta nei consensi personali dalle sue assessore. Quasi la fotografia di una giornata da dimenticare.