Poco prima del commiato dalla città di Rimini, durante il pranzo finale con gli organizzatori, abbiamo intervistato Fiammetta Borsellino, protagonista, insieme a don Claudio Burgio e al dott. Roberto Di Bella, di due incontri decisamente toccanti il 26 e il 27 aprile.
Fiammetta, i due incontri qui a Rimini, tra i tanti in cui sei protagonista in tutta Italia, cosa ti hanno lasciato?
Per prima cosa ho trovato una comunità che vive un percorso molto intenso di vita. Lo dico per come sono stati preparati gli incontri ma anche per le esperienze sul territorio che ho avuto modo di conoscere, esperienze virtuose. E' questo sicuramente il segreto dell’altissima partecipazione ed anche del livello degli interventi e delle domande durante i due incontri. Poi va detto che l’incontro con gli adulti ha permesso una riflessione più tecnica, sul tema della pena e del carcere, mentre con i ragazzi mi ha colpito la vivezza e la profondità delle domande, che volgevano più sugli aspetti umani implicati dal sacrificio di uomini come mio padre.
Eri insieme a don Claudio Burgio e al magistrato Roberto Di Bella. Mi pare ci sia stata una bella sintonia con gli altri relatori.
Sì. La magia di questi incontri è che a volte, pur non conoscendosi di persona ma perseguendo obiettivi comuni, quando ci si incontra è come se ci si conoscesse da sempre. C’è quell’essere veramente coordinati nel discorso che può sembrare preparato, ma non lo è. Nasce spontaneo, quando si va nella stessa direzione.
Fiammetta, la tua vicenda è stata al centro della storia italiana e ancora presenta dal punto di vista giudiziario molte macchie, molti vuoti. La tua battaglia per una ricerca della verità, cosa ha da dire oggi, per le vicende odierne, per le problematiche del nostro paese?
Purtroppo ciò che ha caratterizzato la strage di via D’Amelio, dove mio padre ha perso la vita insieme alla scorta, è molto simile a tanti eventi che sono caratterizzati dalle stesse oscurità, ovvero dall’impossibilità di raggiungere la verità sui mandanti. È un po’ come una storia che si ripete e tanti mi dicono “è successo sempre”. Ebbene, io questa cosa non l’accetto. Proprio perché si ripete, dobbiamo riflettere sul perché questo paese ha la memoria corta e soffre di amnesie. Proprio per i tanti depistaggi accaduti, si dovrebbe essere più attenti, ricordare, insistere. Non possiamo rinunciare al diritto alla verità. Rassegnarsi, per me sarebbe una sconfitta, sarebbe far morire mio padre una seconda volta. Il tema della ricerca della verità è un diritto irrinunciabile, che ci appartiene e che non può essere sepolto né dalle difficoltà, né dal tempo che passa.
Molti tra i ragazzi, i quali peraltro hanno fatto tantissime domande (ben 94 prima dell’incontro ed altre 40 durante l’incontro, inviate agli organizzatori grazie ad un Qrcode), sentono una profonda sfiducia nei confronti della possibilità di “ripartire”, sia per quel che riguarda i carnefici, ma anche per se stessi. Si può cambiare? Gli assassini di suo padre potranno pentirsi?
Certi cambiamenti avvengono, e avvengono indipendente dalla propria omertà. Non si è pentiti solo se si collabora fattivamente. Io credo nel cambiamento anche senza collaborazione. Tante volte uno non ce la fa a collaborare perché ha paura, paura per i figli, per se stesso, oppure perché non si libera da certi schemi. Ma questo non vuol dire che non ci sia in atto un percorso interiore. Questo percorso l’ho percepito in uno sguardo, in una compostezza di atteggiamento, da piccoli dettagli che vanno colti. I ragazzi fanno fatica a crederci, perché certe situazioni vanno sperimentate. Per questo l’impegno nel volontariato, confrontandosi con situazioni difficili, di disagio, aiuta moltissimo. Si comprende che il proprio darsi agli altri, ai fragili ai deboli a chi ha sbagliato, incide, è importante, opera il cambiamento che tutti desideriamo. Ma bisogno capirlo sul campo, non a parole. Capisco la loro fatica, dunque, e li invito all’impegno lì dove sono, nelle città, nelle scuole.
Infine, con una battuta, cosa ti ha colpito di più durante i due incontri?
Conoscere Di Bella e don Claudio è stato importante. Ho intravisto in don Claudio un sacerdote e in Di Bella un giudice dotati di un valore umano che è la vera origine del successo delle loro opere. Ma è impagabile la sincerità dei ragazzi. Loro, in maniera semplice e diretta non chiedono altro se non conoscere, nel senso più vero del termine. Vogliono quella sincerità che poi ricevono e offrono in momenti come questi.
Emanuele Polverelli