"Il lavoro di Memorial è far emergere l'umano nell'uomo. Puntare la luce su tutto ciò che di buono l'uomo è anche nelle circostanze più terribili". Presidente di Memorial Italia e dal 16 maggio co-presidente di Memorial International ricostituito a Ginevra, Andrea Gullotta, docente universitario esperto di storia e letteratura del sistema Gulag, ha curato l'introduzione della mostra 'Uomini nonostante tutto. Storie da Memorial', proposta dal Meeting nel 2022 e in questi giorni esposta alla Galleria dell'Immagine della biblioteca Gambalunga (fino al 30 maggio, dalle 15,30 alle 19). Attraverso le diverse sezioni, la mostra alterna voci che sottolineano le condizioni disumane, volte a umiliare, annichilire la persona ad altre che parlano della dignità riconquistata, di un bene che può risplendere ovunque e, nonostante tutto, consentire di restare uomini.
Memorial nasce alla fine dell'esperienza sovietica, nel 1987 grazie al premio Nobel per la pace Andrei Sacharov e alla matematica e attivista per i diritti umani Svetlana Gannuskina. "Quando finalmente la società dopo decenni di dittatura ha la possibilità di parlare di quanto è successo. Gulag, deportazioni, fucilazioni... il fenomeno delle repressioni sovietiche è variegato. Secondo alcune statistiche hanno colpito un cittadino su sei, secondo altre uno su quattro. Non si limita al solo periodo staliniano. Attraverso Bréžnev si estende fino agli anni Ottanta".
Arriva Gorbaciov, segretario del partito comunista russo dal 1985 e presidente dal 1990 e il 1991, e le cose cambiano (per poco). "Si permette alla gente di parlare, di chiedere giustizia. E Memorial abbraccia questa domanda divenendo centro di ricerca e centro di difesa dei diritti umani. Promuove mostre, concorsi nelle scuole e diverse iniziative con scopo educativo". Dopo pochi anni "questo lavoro inizia ad essere osteggiato dal potere. Memorial viene messo all'angolo. Nel 2009 il culmine con l'assassinio di Natalja Estemirova, membro del consiglio direttivo a attivista per i diritti umani in Cecenia".
Arriva il 2021 e le autorità decidono di chiuderlo. “Per diversi motivi. Innanzitutto perché una voce indipendente è più difficile da gestire per il potere. Memorial testimonia una verità storica molto profonda. Anche sotto processo ha sempre detto la verità, ha sempre chiesto giustizia per le vittime del gulag. Mentre lo Stato ha sempre cercato di far passare il messaggio che in fondo bisogna perdonare e andare avanti".
E Memorial non è d'accordo? "Memorial non è interamente d'accordo. Nessuno ha mai pagato per le vittime della repressione. Non risultano condanne per lo Stato sovietico. La Russia non ha mai avuto un processo di Norimberga. Ci sono state, sì, tante leggi per riabilitare le vittime, ma mai un processo ai carnefici, per riflettere". Così "lo stato russo ha ripreso vecchie cattive abitudini".
C'è anche una questione di memoria all'origine dell'ostilità. "La memoria è diventata parte fondamentale della narrazione di Putin, un racconto in disaccordo con quando testimonia Memorial. Putin punta su temi come la vittoria sul nazifascismo, la retorica sui valori russi, la decadenza dell'occidente, da cui la Russia dice di non voler essere contagiata. Memorial non può accettare questa visione ideologica e nostalgica. Il lavoro constante di Memorial, anche attraverso il monitoraggio e la pubblicazione periodica del numero delle violazioni dei diritti umani, genera consapevolezza dal basso, mentre lo Stato impone una visione a cui tutti devono sottostare, una memoria che, per fare un solo esempio, non tiene conto delle vittime musulmane, ucraine, ebraiche".
La chiusura "non ha messo fine alla rete orizzontale in difesa dei diritti. Memorial è rinato come Centro per il rispetto dei diritti umani, mantenendo un filo diretto con le dissidenze". Nel 2022 è arrivato il premio Nobel per la Pace. "Memorial era già stato candidato per tre anni, senza mai raggiungere l'obiettivo. Proprio nel 2022 non ci speravamo più, perché l'anno precedente il premio era andato ad un russo, Dmitrij Muratov, il direttore della Novaja Gazeta. E invece il comitato ha voluto dare un messaggio di speranza all'area della ex Unione sovietica. Memorial, infatti, ha ricevuto il premio assieme all'attivista bielorusso per i diritti umani Ales Bialiatski e all'associazione ucraina Center for Civil Liberties. Il messaggio che ne traggo è che la speranza è nella società civile, che può portare libertà e democrazia. Proprio mentre da quella parte del mondo arrivano segnali di violenza e di morte, il comitato ha scelto di premiare chi può dare un messaggio di pace, ha voluto indicare una possibile via di speranza per un futuro comune di pace".
Un futuro di pace. Nell'ambito della mostra, giovedì 25 maggio si è tenuto l'incontro 'Ritessere i fili della pace, da dove ripartire?' con l'arcivescovo di Mosca Paolo Pezzi (in collegamento), Elena Mazzola, presidente della ong Emmaus di Kharkiv, il docente di lingua e letteratura russa Adriano Dell'Asta. Qual è il contributo che Memorial può dare? "La rinascita di Memorial International è un messaggio universale di pace. Significa che si può ripartire da quello che ci unisce, da quello che in maniera più specifica unisce Russia e Ucraina. E' da lì che si deve ripartire”. La scorsa settimana (il 16 maggio 2023) a Ginevra è stato quindi ricostituito Memorial international, "rimettendo in rete tutte le associazioni che nel mondo portano il nome Memorial, con un particolare riguardo per i russi e gli ucraini costretti a emigrare a seguito del conflitto in corso. I colleghi russi ovviamente non possono essere coinvolti ora, ma il lavoro di oggi è perché un giorno l'esperienza di Memorial sia nuovamente possibile anche in Russia". Il Memorial international risorto a Ginevra ha tre presidenti: la russa Irina Scerbakova, l'ucraino Evgenij Zacharov e Gullotta, in rappresentanza dell'Unione Europea. Il 17 maggio una delegazione del nuovo Memorial International ha incontrato l’Alto Commissario per i diritti umani dell'Onu, Volker Turk, per discutere delle violazioni dei diritti umani in Russia e Ucraina.
E il popolo russo? Può essere coinvolto in questo processo di pace? "Spesso in Italia e all'estero si pensa a un popolo russo silente che accetta supinamente. E invece i fatti raccontano di centinaia di persone che ogni settimana vengono arrestate perché protestano contro la guerra. I sondaggi che circolano, quelli che parlano di un 70 per cento dei russi favorevoli alla guerra, sono governativi. C'è un perché. Significa che un funzionario del governo contatta telefonicamente le persone le quali, vista la situazione, non è detto che rispondano secondo quello che pensano. Il popolo russo non è soggiogato, la Russia ha dato sempre grandi insegnamenti a tutta l'umanità".
Così come la cultura russa. Non sembrerebbe un momento facile per studiosi e appassionati del genere... "E' un momento indubbiamente difficile. C'è questa una grossa discrasia tra l'amore per questa cultura e quello che questa cultura sta producendo di brutto. C'è anche la certezza che la Russia non può essere solo quella delle z e dei carri armati. La Russia è Dostoevskij, Sacharov. Noi crediamo in quella Russia e in quei russi che hanno saputo cambiare l'umanità. Sarà quella Russia a vincere, o almeno io ci spero. Trovo molto interessante sul tema il libro curato da Simone Guagnelli dello scorso anno, Generazione Putin, che raccoglie sedici saggi scritti da slavisti italiani tutti cresciuti sotto l'ombra di Putin".
Attraverso scambi epistolari e oggetti ritratti, a volte poveri, ingenui, a volte testimoni di una sorprendente creatività, la mostra lascia emergere storie straordinarie di umanità, di amicizia, di dolore e di verità. Documentano una passione per l’uomo che si conserva nelle più intime fibre della persona. Quale parte della mostra preferisce? "Le lettere del meteorologo Aleksej Wangenheim, ogni volta che me le ritrovo in mano mi sciolgo. Quanta bellezza umana si può riconoscere in questo papà che scrive alla figlia le sue lezioni di biologia, pur dentro una circostanza tragica. Per lui ho una predilezione personale".
Filomena Armentano