“Le tecnologie non sono neutre, nascono con una funzione spesso commerciale che ci spinge verso un uso o un altro. Siamo noi, però, a scegliere come usarle. Il punto è che non dobbiamo farci sopraffare dalle tecnologie. Possiamo e dobbiamo decidere dove andare, per quali scopi usarle. Una domanda che dovremmo farci non solo a livello personale, ma anche sociale”. Luca Botturi, scrittore, studioso e appassionato di comunicazione, ha incontrato genitori e studenti delle scuole Karis, per fare chiarezza e dare un pizzico di positività sul mondo delle nuove tecnologie che stanno cambiando il mondo e l’uomo e che per certi versi potrebbero anche generare timori. ‘Scuola vs ChatGPT’ il tema dell’incontro nell’ambito dell’evento di fine anno ‘Karis in festa’.
“Per i genitori, il messaggio è: non tiratevi indietro. Abbiamo un ruolo da giocare, ed è importante farlo. L’appartenere a una generazione diversa da quella dei nostri figli con la sensazione di far fatica a capire non deve esserci di ostacolo, perché non è di capire tutto che i ragazzi hanno bisogno. Quello di cui necessitano è un orientamento e questo possiamo certamente darglielo”. Come? “Giocando questo ruolo insieme, tra famiglie, tra famiglia e scuola”. Per i ragazzi, prosegue Botturi, “le tecnologie sono un’opportunità quando diventano funzionali a un interesse di vita forte. Il vero aiuto che possiamo dare loro, quindi, è capire qual è il loro interesse di vita. Se uno è appassionato di calcio o di pittura la tecnologia, i social, sono uno strumento che può dare delle opportunità enormi. Possono aiutare a seguire quella passione, a promuoverla. L’importante è non farsi vivere da Instagram, non essere fagocitati da uno strumento che è pensato per riempire tutti gli spazi”.
Per far capire in che mondo viviamo e la logica sottesa all’intelligenza artificiale, Botturi fa tre esempi. C’è il campione di AlphaGo, Lee Sedol, battuto clamorosamente da un programma “che non sa giocare, solo ne conosce tutte le regole. Esercitandosi giocando tra sé e sé, ha sviluppato una strategia che nessuno conosce, nemmeno i suoi inventori”. Viviamo immersi in situazioni prima impensabili, e ogni giorno spesso se ne scopre una nuova, anche nell’ambito della robotica.
“Kevin Warwick è l’ingegnere inglese che già in tempi non sospetti si è fatto inserire un chip sottopelle con cui apriva le porte. Successivamente ha costruito una mano robotica in grado di compiere gli stessi gesti della sua mano. Non contento, l’ha collegata a internet e quindi mentre lui andava in giro per il mondo, la sua mano poteva fare cose in casa”. Questo esempio, “serve a comprendere quanto noi cambiamo la nostra definizione di essere umano, fin dove rimaniamo umani se siamo intrisi di tecnologia. La mano robotica forse ci può sembrare strana, ma strumenti come il pacemacker o per il controllo del diabete li accettiamo tranquillamente. Le tecnologie cambiano il nostro modo di percepire noi stessi. Come spiega il sociologo Marshall Macluhan nel libro ‘Il medium è il messaggio’, noi prendiamo la forma delle tecnologie che usiamo”.
E quindi, terzo esempio, “noi che forma prendiamo in un mondo popolato dai social, di contenuti estremamente brevi, di relazioni rapide, in cui raramente incontriamo le persone. Questo modo di vivere, che forma ci dà?”. La risposta è nell’esperienza di “Aza Raskyn. Ha inventato lo scrolling infinito, la possibilità di caricare contenuti uno dietro l’altro, senza soluzione di continuità, semplicemente scorrendo sullo schermo con il dito. Le interfacce precedenti mostravano un numero limitato di risultati, in fondo il link next verso un’altra pagina. Raskyn grazie alla sua invenzione ha guadagnato molto, ma poi si è domandato se non avesse inventato qualcosa di pericoloso, perché di fatto prendi in mano i cellulare e non finisci mai di usarlo”.
E’ qui che bisogna fare attenzione. “Come detto, i social che mettiamo in mano ai nostri figli non sono neutri: hanno l’obiettivo di fare i soldi con la pubblicità, un giro di affari enorme. Più ci fermiamo su un gioco o su YouTube, maggiore è il numero di nostre informazioni condivise, perché l’interfaccia che usiamo è sofisticatamente progettata proprio per ottenere questo, come il muschio su un muro, che pian piano occupa tutti gli spazi disponibili se non lo ripuliamo. Molti ragazzi alla domanda perché usi il telefono rispondono: perché mi annoio”. Trent’anni fa alla rete si accedeva solo attraverso i sistemi di ricerca, “ora dalle icone delle applicazioni dei social network, esteticamente invitanti, messe infila una accanto all’altra come sullo scaffale di supermercato”.
Se le cose stanno così, non è detto, però che non si possa “prendere il controllo della tecnologia: una bella sfida alla libertà di chi sta crescendo ma anche alla nostra”. Perché c’è anche “il bello della rete: la telemedicina, la possibilità di lavorare con persone che si trovano in altri continenti, sono cose di questo tipo che rendono la sfida affascinante”.
Ma cosa vuol dire utilizzare il digitale in modo interessante a scuola? La proposta della Karis è nei laboratori di robotica e informatica in cui si parte dallo studio di come uno strumento sia fatto per capire come funziona. Le tecnologie “vanno conosciute, questo è un compito della scuola”, sottolinea Botturi. La domanda “non è chiedersi come si usa, ma perché l’anno fatta così. Cambia tutta la prospettiva”.
Sono “veri”, prosegue Botturi, i problemi legati al web per i ragazzi, come cyberbullismo, privacy, pornografia, fake, ecc. In famiglia, “non ci conviene giocare in difesa. Perché in realtà per ognuno dei problemi segnalati c’è l’altra faccia della medaglia. Se per esempio prendiamo il cyberbullismo, il punto vero non è limitare l’uso dello smartphone, ma capire cosa significhi essere amici e rispettarsi. Altro esempio, di fronte a un tentativo di adescamento, la domanda vera è: quando e perché mi fido di qualcuno? C’è sempre un risvolto, che è una sfida educativa. Guidiamo i nostri ragazzi dando loro dei principi utili”.
A casa si può parlare insieme figli e genitori di digitale. “Io lo faccio a cena ne parliamo insieme, ognuno fa vedere le cose che lo hanno colpito, ce le scambiamo. Bisogna poi non avere paura di mettere delle regole, soprattutto se ci sono di mezzo dei figli. La regola non è una gabbia è un aiuto a crescere dando un’indicazione, come un paletto che aiuta una pianta debole ad andare nella direzione giusta. Concediamo dispositivi personali, ma senza segreti: abbiamo accesso ognuno al telefono dell’altro. Cerchiamo e troviamo un equilibrio. Esiste un uso sano dei dispositivi, che è medio, moderato”.
Far scomparire le tecnologie “è impossibile, immergersi eccessivamente è dannoso, la tecnologia diventa negativa quando ci distrae dalle cose importanti, lo studio, il riposo”.
E ancora, “creiamo degli ambiti in cui è facile che i nostri figli si vedano, con delle regole: per esempio decidere che da una certa ora la chat di classe non si usa più”.
Filomena Armentano