Arte a Rimini nel borgo
C'è un nuovo spazio espositivo a Rimini per tutta l'estate, con quadri, fotografie, sculture; un luogo di incontri anche conviviali nel segno dell'arte e dell'apertura ad autori nazionali e internazionali.
Si tratta di The Bridge & Contemporary Gallery, a due passi dal Ponte di Tiberio in Borgo San Giuliano: in via degli Ortaggi, su uno spiazzo tra piccole case colorate. Un angolo di mondo antico, di vecchio paese su cui plana l'aria del mare, il profumo inconfondibile che si respira in riviera appena arrivati dall'entroterra.
Nei prossimi mesi si avvicenderanno artisti e mostre. Attualmente sono presenti le opere di Sara Berti, Antonella Cinelli, Roberta Dallara, Mario Giacomelli, Alessandro La Motta (ideatore e curatore del progetto), Mauro Moscatelli, Lorenzo Pacini, Riccardo Varini e Francesca Zanuccoli.
Sara Berti è un'artista che è vissuta a lungo a Budapest, ora vive a Smirne. Fa sculture a cera persa, si interroga sul corpo. La sua Nike minuscola, rabberciata, con una sola ala rovesciata e spezzata, è un piccolo essere che non sa più volare. È una classicità evocata e rovesciata, si avvicina alla ricerca di La Motta e Moscatelli, pittori riminesi.
I grandi volti di La Motta, solenni, delicati, fronteggiano i piccoli ritratti di Moscatelli, aperti con dolore all'incompiuto, per parafrasare la nota critica di Gianfranco Lauretano. Eppure in Moscatelli si trova anche, a mio parere, il gusto raffinatissimo di cesellare il dettaglio fino a non finirlo, non perché non si può, ma perché non si vuole.
Si guardano dunque senza guardarsi questi ritratti che rivivono e rivedono la tradizione classica, e guardano gli spettatori con una muta, indecifrabile domanda. I loro sguardi vuoti sono pieni. Da un grande ritratto di La Motta un occhio cade e muore, piange un pianto che è un pus, mentre le labbra sono serrate, indurite, da lottatore, da dio a cui è inutile chiedere, (però nello stesso tempo piange, è strano, è contraddittorio come sempre ci appare il mondo).
Afrodite 1 invece ha sguardo gentile e labbra morbide. Poeta ha uno uno sguardo cavo e buio, che ci guarda come di sbieco. Afrodite 2, con gli occhi chiusi e grandi, incredibilmente pure riesce a guardare. Ha labbra grandi, dolci, forse protese in un bacio. È una dea gentile, fatta per amare il mondo e gli uomini.
Altre due artiste che si possono accostare e paragonare, cogliendone gli aspetti simili e contrastanti, sono Antonella Cinelli e Roberta Dallara, che vivono e lavorano a Bologna. La Cinelli propone il ritratto di una ragazza di schiena, accucciata sui talloni. Ha un reggiseno nero, un tatuaggio sulla schiena, i collant rossi. Forse è in palestra, o più probabilmente nello spogliatoio di una palestra. Emerge dal fondo nero il profilo del volto, lo sguardo dalle lunghe ciglia, le occhiaie, le mani nei capelli. È un quadro ipnotizzante, si rimane a fissarlo a lungo cercandone l'anima, e non trovandola. È un figurativo perfetto, e forse inutile. Invece il figurativo imperfetto della Dallara ha un'anima. La ragazza sul letto, Manuela, stanca perché ha passato metà della notte a ballare il tango, ha un'anima scalcagnata nelle scarpe, vecchie, accanto al letto. In Interno 2 c'è uno squarcio di casa. Una poltrona, un tappeto, il parquet, la tenda, la sopra coperta sul letto. Lo sguardo della Dallara abbraccia quell'angolo, sospinge lo spettatore all'abbraccio. É un quadro di luce e colore, spicca il rosa acceso della poltrona, spicca il calore. La Dallara fa sempre sentire il misterioso “caldo” delle cose.
Lorenzo Pacini è un giovane artista già affermato a livello nazionale (apprezzato, tra gli altri, da Philippe Daverio). In mostra c'è una scultura, un teschio bruno che tiene in bocca una mela lucente. L'anima di Adamo si è perduta per la mela di Eva, l'uomo è rimasto stecchito, bloccato in un urlo, strozzato mentre tenta di inghiottire la mela, simbolo della femminilità, desiderabile ma ingannevole.
Infine di tre autori sono esposte le fotografie. Riccardo Varini propone due ritratti di giocatori. Uomini soli: uno al tavolo verde, l'altro davanti alla scacchiera. Ma sul tavolo non ci sono le carte, gli scacchi sono rovesciati. Gli uomini sono pensierosi, in attesa, forse però non di giocare, ma di qualcos'altro, in quella caratteristica dimensione di sospensione del tempo, di attimo fissato in un'eternità desolata, irredimibile, propria di Edward Hopper, a cui Varini si richiama espressamente.
Le tre fotografie di Francesca Zanuccoli ritraggono un cielo tempestoso sui tetti. Un cielo particolarmente inquietante, quasi un mondo rovesciato che incombe come una minaccia sulle case degli uomini. Viene in mente Turner, anche per l'uso dei colori: un improbabile scurissimo giallo, che un po' fa paura e un po' conforta, perché fa pensare alla luce del sole, a quel sole che comunque esiste dietro le nubi.
Di Mario Giacomelli si può ammirare l'opera Omaggio a Spoon River. Mario Giacomelli (Senigallia 1925-2000) è il fotografo della campagna e della poesia. La maggior parte delle sue fotografie, ora conservate nei maggiori musei del mondo, sono dedicate ai contadini marchigiani, oppure illustrano i versi dei poeti, prima di tutto il marchigiano Leopardi.
Nella serie di fotografie dedicate all'opera di Lee Masters si nota la ricerca di conciliare l'immagine della natura con l'istanza profonda, misteriosa, della poesia. La poesia cerca l'indicibile, la fotografia ritrae il visibile. Ma anche il visibile, ovviamente, è misterioso, incommensurabile, stupefacente: Giacomelli da un areo fotografa uno stormo di uccelli sul mare, e lascia lo spettatore della sua opera stupito e inappagato come la Caroline Branson di Lee Masters, che esclama “oh i nostri cuori come stelle alla deriva”.
Marina Sangiorgi